Però a Cuba non c’era la Siberia

Condannato e umiliato dal regime. Antón Arrufat, grande poeta e drammaturgo, non ha però mai lasciato l’isola. Troppo forte l’amore per l’Avana

Per gli intellettuali le rivoluzioni sono percorsi a ostacoli. Non importano meridiani e paralleli. Censura e repressione si sono abbattute su tutte le latitudini. Diventando regimi le rivoluzioni sono allergiche agli intellettuali e alle loro idee se non sono allineate. La critica un tempo esaltata è considerata un delitto. Sono pensieri elementari, detti e ridetti, che mi ritornano mentre ascolto Antón Arrufat nella sua ampia casa, dove ci sono tante seggiole, e un piccolo tavolo zeppo di carte accanto a un letto sfatto. Le finestre si affacciano sull’Habana Vieja che nella luce del tramonto è la malinconica scena di un nobile teatro. Antón parla di quasi tutto con ironia. Non proprio di tutto perché a tratti la sua voce si fa grave. È un istante, non di più, poi il tono è di nuovo leggero.

Racconta di una sorvegliante mulatta che per punirlo gli faceva lavare il pavimento. Accadeva nei quattordici anni in cui era stato ridotto al silenzio, relegato nello scantinato della Biblioteca di Marianao, un sobborgo dell’Avana, dove impacchettava libri otto ore al giorno, e gli era proibito scrivere e ricevere visite. Quando su una brutta copia della Maya desnuda di Goya, relegata nella cantina dove viveva perché giudicata pornografica, furono trovate tracce ritenute di sperma lui fu accusato di essersi masturbato davanti al quadro. E nonostante fosse noto come omosessuale, fu punito: sei mesi a spolverare libri e lavare pavimenti. L’episodio grottesco della Maya desnuda è evocato in un lungo colloquio con J.S.Tennant della White Review, dove ripercorre farse e drammi della sua vita di scrittore cubano. Per noi sceneggia, da uomo di teatro, l’incontro casuale, anni dopo, con la mulatta che gli infliggeva le punizioni umilianti. Era disoccupata e desolata per quel che aveva dovuto imporgli, ma lui non si trattenne: le disse asciutto che lei era sempre la stessa mentre, nel frattempo, lui era stato riconosciuto come uno dei più grandi scrittori cubani.

I toni della rivincita non erano all’altezza del personaggio, ma la vecchia collera prevalse. Oggi Antón Arrufat, superati gli ottant’anni, è giudicato da molti come il più importante autore dell’isola: drammaturgo, poeta, saggista. “La noche del aguafiestas” e “Ejercicios para hacer de la esterilidad virtud” sono considerate opere maggiori. E lo Stato gli ha assegnato un grande appartamento in un edificio del centro della capitale, dove al pianterreno può tenere conferenze e corsi di letteratura. Dopo la lunga residenza coatta nella periferica biblioteca di Marianao, la Revolución gli riserva tutti gli onori dovuti al grande scrittore nazionale.

Nonostante le persecuzioni subite dalla fine degli anni Sessanta, durante l’ossessiva caccia agli intellettuali dissidenti e agli omosessuali, Antón Arrufat non ha mai ripudiato la Revolución. L’ha accettata con slancio, nel 1959, rientrando da New York dove viveva, quando i barbudos hanno cacciato il dittatore Fulgencio Batista. E non ha mai voluto abbandonare l’isola, come altri scrittori, quando è stato liberato dall’esilio di quattordici anni a Marianao e ha recuperato il diritto di scrivere e pubblicare le sue opere. Alla Revolución non ha risparmiato critiche e ironia. Ma non è riuscito a rinunciare alle immagini, ai rumori, agli odori delle strade dell’Avana.

Tutto cominciò con il caso Heberto Padilla, in favore del quale intervennero decine di scrittori e artisti di sinistra, molti dei quali, fino allora, si erano pronunciati in favore di Fidel Castro: da Sartre a Beauvoir, da Calvino (del quale negli anni ’60 Arrufat fu testimone delle nozze con Chichita Singer all’Avana) a Fellini, da Greene a Pasolini. Poeta amico della Rivoluzione, di ritorno da un viaggio nell’Unione Sovietica, Padilla vide una somiglianza tra i metodi repressivi adottati in quel paese e la tendenza del castrismo che nel frattempo si era alleato e si ispirava alla potenza comunista. Nei versi di un poema di Padilla, “Fuera del juego”, i censori cubani trovarono spunti ideologicamente contrari ai principi rivoluzionari; e la stessa accusa fu lanciata contro Antón Arrufat, autore di una pièce di teatro, “ Los siete contra Tebas”. Era il 1968 e a entrambi, a Padilla e Arrufat, furono ritirati i premi letterari appena ricevuti. Negli anni successivi la censura diventò repressione. Padilla fu costretto a un’autocritica pubblica, imprigionato e poi messo in residenza sorvegliata, fino al 1980, quando fu autorizzato a espatriare negli Stati Uniti, dove ha insegnato in varie università fino alla morte. Antón non se ne è mai andato. Dice, con ironia, che a Cuba non c’era la Siberia.

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