Il segretario del Pci è stato l'ultimo leader in cui abbiano pienamente coinciso pratica di vita e progetto politico. Persino la sua stessa morte sul lavoro - sul palco dell'ultimo comizio - esalta un impegno vissuto come dovere superiore

La mattina del 13 giugno 1984, un mercoledì, Roma si sveglia sotto un sole splendente. Di certo farà molto caldo. Stupìta e incredula, la città si prepara a vivere una giornata indimenticabile, triste e potente, di dolore e di riscatto. Forse immagina un nuovo inizio, invece è la fine di una stagione. Il leader del Pci Enrico Berlinguer- amatissimo da militanti e comuni cittadini, non altrettanto dalla nomenklatura di partito - è morto due giorni prima, a poche ore da un drammatico comizio in piazza delle Erbe, a Padova, che ha voluto concludere a tutti i costi nonostante la fatica accumulata e a dispetto dell'ictus già esploso dentro il suo corpo fragile e sottile. Ora la sua bara di legno chiaro è nell'atrio di Botteghe Oscure. Una lunghissima fila, compagni e non, attende paziente per l'ultimo saluto. Tra poco il feretro, seguito dai familiari, muoverà verso piazza San Giovanni, la piazza del popolo comunista. I capi del partito e le autorità già aspettano sul grande palco bianco posto dinanzi alla basilica. Intanto si sono formati tre immensi cortei, forse un milione e mezzo - "l'Unità" azzarda due milioni- di uomini e donne di ogni età. E certo non sono tutti comunisti ...

Solo una piccola parte riesce a entrare nella piazza dove la salma arriva alle quattro del pomeriggio, e comunque una folla così non s'è mai vista, nemmeno ai funerali di Palmiro Togliatti. La Rai se ne rende conto e organizza la diretta, tre ore di telecronaca con un giovane Bruno Vespa al microfono. La tragedia di un uomo, di una famiglia, di un partito diviene dolore collettivo di un'intera comunità nazionale. Da quel giorno sono passati trentacinque anni e ancora cerchiamo di capire fino in fondo che cosa abbia rappresentato Berlinguer e come sia stato possibile che un comunista senza se e senza ma sia stato votato da un italiano su tre, e abbia visto intorno alla sua bara - nella piazza fisica o in quella virtuale della tv-  milioni di persone.

La verità è che Enrico Berlinguer è stato l'ultimo leader in cui abbiano pienamente coinciso pratica di vita e progetto politico. La stessa morte sul lavoro- sul palco dell'ultimo comizio - esalta un impegno vissuto come dovere superiore. Il rigore personale; la sobrietà non declamata, ma praticata fino all'austerità che si fa proposta politica; la separatezza tra famiglia e partito, sfera privata e missione pubblica; la passione militante unita alla convinzione profonda che il partito debba diventare architrave di un'Italia migliore; il richiamo alla questione morale, intesa come lotta alla nefasta occupazione dello Stato e delle istituzioni a opera dei partiti (ed era davvero inimmaginabile allora che alla fine molto sarebbe stato mazzette e aragoste, corruzione e feste in maschera, caviale e champagne ... ): questo straordinario insieme di valori fondanti e quotidianamente vissuti restituiva, e restituisce ancora, un'immagine del leader piena, rassicurante, sincera. Capace di seminare fiducia. E indicare nella politica una cosa destinata, ma pensa un po', solo a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini.

Forse ha ragione Walter Veltroni, autore e voce narrante di un film toccante e appassionato, quando dice che Berlinguer, o almeno il suo progetto politico, è morto una prima volta a via Caetani, a Roma, dinanzi al cadavere di Aldo Moro raggomitolato in una R4 rossa parcheggiata a metà strada tra piazza del Gesù e Botteghe Oscure. E d'altra parte il fenomeno politico Berlinguer, e di un Pci largamente sopra la soglia del 34 per cento, non sarebbe stato lo stesso se non lo avesse indirettamente alimentato, nel 1974, la campagna per il divorzio. Una grande battaglia di civiltà- caparbiamente inseguita da un leader radicale, Marco Pannella, poco amato al Bottegone-ma divenuta immediatamente politica perché simboleggiava, intercettandolo, un desiderio diffuso in tutta la società di cambiamento, di crescita, di modernizzazione. Così, sotto quel vessillo si saldano di nuovo culture politiche diverse- comunisti e socialisti, liberali e cattolici laici, riformisti e post azionisti - rinnovando un certo spirito della Resistenza e l'intuizione del Togliatti sbarcato a Salerno.

Ora come allora la leadership se la assume il Pci. Così si comprendono meglio anche compromesso storico e alternativa democratica, progetti poi andati perfino al di là delle stesse intenzioni del leader comunista. Che cosa sarebbe potuto succedere se Berlinguer non fosse morto allora e su quel palco, quale strada politica avrebbe intrapreso, non si riesce a immaginarlo nemmeno ricorrendo alla controstoria. Ciò che invece sappiamo è che nessuno dei suoi eredi e sodàli di allora ha provato a continuare, rinnovare, reinterpretare quanto fatto negli anni precedenti. Anzi, è come se quella stagione fosse stata saltata a pie' pari, rimossa senza porsi più domande né risolvere le contraddizioni profonde che pure s'erano manifestate.
 
Ma di lui, di Enrico Berlinguer, e di ciò che rappresentava perfino fisicamente, si parla ancora oggi. Evidentemente questo non è rimpianto, perché tutto cambia e nulla si ripete così com'era; magari è speranza in qualcosa che possa modificare il corso delle cose, trascinarci via da una lunga stagione oscura, resuscitare un po' di passione per l'unico antidoto possibile all'antipolitica e alle sue derive populiste e leaderiste: la politica. La politica perbene.  

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