L'ho conosciuto nel 1976, appena terminata un'esperienza risoltasi in modo non felice, poco dopo aver dato le dimissioni da amministratore delegato della Fiat. Chiese di venirmi a trovare. Ero 'disoccupato', in un ufficio di una palazzina a Torino dove ancora oggi tengo la mia amministrazione, da solo, con la mia segretaria (che per fortuna è ancora con me). Parlandone in questi giorni, anche lei lo ricorda al suo arrivo all'incontro, un po' sgangherato, sotto la pioggia, con un ombrello rotto, insieme a un suo carissimo amico e collega, Nazareno Pagani. Era solo curioso. Gli avevo premesso che non gli avrei dato un'intervista e rispettò la promessa alla virgola. Era curioso di conoscere perché un uomo a 40 anni può decidere di lasciare una posizione unica, specialmente per una persona nata e vissuta a Torino.
Da allora sono passati più di trent'anni e tante cose hanno segnato il corso della sua e della mia vita. La più triste, la sua malattia, che lo colpì quando aveva 40 anni e che mi fu comunicata da Mario Formenton. Cercammo insieme qualche specialista negli Stati Uniti e in Israele. Alla fine chi lo aiutò tantissimo fu il professor Boeri, a Milano prima, e poi il professor Lenzi, a Roma. Entrambi gli hanno voluto molto bene. Con me in tutti questi anni non ha mai detto una parola sulla sua malattia. Ci sentivamo praticamente ogni mattina, ma negli ultimi due anni, man mano che procedeva la malattia, non ha più voluto vedermi. Quando, tramite la mia segretaria, fissavo un appuntamento per andarlo a trovare, lo disdiceva un'ora prima con qualche scusa.
Diventammo amici veri e profondi quando Berlusconi lo cacciò dalla Mondadori e lui non chiese nessuna grandiosa liquidazione come usa oggi. Gli chiesi di fare il direttore dell''Espresso'. Lo fece alla sua maniera, con intelligenza, integrità e - combinate tra loro - follia e saggezza. Toccò a me dirgli un giorno che ritenevo necessario un avvicendamento. Soffrii più io di lui.
Lo voglio ricordare sotto tre angolazioni diverse. Come uomo: una delle persone più intelligenti, acute e sproporzionatamente calme rispetto alla velocità con cui elaborava idee e le faceva saltare e cadere. Come giornalista: straordinaria penna, acutissima analisi, totale costante coerenza nonostante tutto quello che è successo in questi trent'anni. Grande passione politica, ma senza 'iscriversi' mai a nulla, se non alle sue straordinarie intuizioni e a quello che sinceramente e profondamente pensava fosse il bene del Paese in quella determinata circostanza. Senza tabù, senza passioni (se non per la verità). Coltivava solo le sue convinzioni, documentandosi in modo maniacale, mai soddisfatto.
E poi da ultimo lo voglio ricordare come amico, il mio migliore amico. Che a sua volta ha seguito le tante vicissitudini degli ultimi trent'anni della mia vita con silenzioso affetto. Ci siamo voluti molto bene, ma non ce lo siamo mai detto.