
LA GUERRA TRUMP-MACRON
Il 9 dicembre 2016, nel bel mezzo del passaggio di consegne a Palazzo Chigi fra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, il ministero della Difesa di Roberta Pinotti approvò un programma pluriennale per sostituire gli elicotteri dell’Esercito. I vecchi A129 Mangusta, entrati in servizio nel 1983, erano destinati a un progressivo ritiro con l’arrivo di 48 mezzi AW249 prodotti da Leonardo, l’ex Finmeccanica. Per l’operazione fu stanziato un fondo da oltre 2,77 miliardi di euro in capo al ministero dello Sviluppo economico.
Sin da subito per costruire i motori, una componente separata che vale centinaia di milioni di euro, si aprì il duello tra i francesi di Safran e gli americani di Avio che coinvolse politici, lobbisti, diplomatici di Washington e soprattutto di Parigi.
La Francia era assai smaniosa di entrare con prepotenza in un mercato italiano da sempre preda degli Stati Uniti: la Marina è già cliente di Safran, ma l’Esercito ancora no e proprio l’Esercito muove i capitali più grossi. Gli Usa erano convinti, per rodata abitudine, di prevalere ancora una volta sui rivali, finché la Difesa con il ministro Elisabetta Trenta e la multinazionale a controllo statale Leonardo non hanno cominciato a sollevare dubbi sul prodotto di Avio con argomentazioni squisitamente commerciali e tecniche.
Il motore Aneto 1K di Safran era considerato - in diverse comunicazioni ufficiali della primavera 2019 - più adatto, più economico e più affidabile del T700 di Avio. Con queste premesse, alla vigilia delle elezioni europee e con una scarsa reputazione internazionale, l’allora capo, volto e verbo dei Cinque Stelle, vicepremier del silente Giuseppe Conte, ministro dello Sviluppo Economico e pure del Lavoro, partì per un viaggio negli Stati Uniti.
I RIFLESSI DI “GIGGINO”
Appena atterrato in Italia e assimilato il messaggio del segretario Ross, che fu formulato, ricorda, in maniera abbastanza “vaga”, Di Maio si schierò in pubblico e in privato per gli americani di Avio. Il 3 maggio 2019 andò a visitare il polo napoletano di Pomigliano d’Arco accolto con soddisfazione da Riccardo Procacci, l’amministratore delegato del gruppo in Italia. Di quell’evento mediatico rimane un suggestivo filmato realizzato dall’ufficio per la comunicazione dei Cinque Stelle.
Accompagnato dalla fidanzata Virginia Saba e munito di occhiali protettivi trasparenti, Di Maio si aggirò estasiato nel capannone fra gli operai, tutti sorridenti e tutti festanti, e tastò una delle turbine «più grandi al mondo». Luigi fu spigliato, determinato, a suo agio. Come se fosse a casa, tra l’altro Pomigliano è casa sua e lì tra i dipendenti in organico c’è suo cognato, il marito della sorella Rosalba (assunto prima che Luigi sbarcasse alla Camera, precisa il suo portavoce).
Di Maio celebrò l’antica eccellenza internazionale e poi spernacchiò i francesi: «Sono qui per aiutare, sono qui per sostenere un progetto industriale che negli ultimi cinque anni ha portato a mille ingressi. Si discute tanto dell’opportunità di montare le turbine Avio sugli elicotteri di Leonardo: può essere auspicabile. Perché le turbine Avio si fanno in Italia, altre turbine no, e noi diamo impiego ai cittadini italiani».
Per contestualizzare era il periodo “espressionista” di Di Maio, alleato (forse) pentito di Matteo Salvini, petto in fuori e porti chiusi, in fase di decollo col sovranismo per rincorrere i leghisti, in campagna elettorale contro i francesi di Emmanuel Macron e ancora divertito dalle scorribande movimentiste di Alessandro Di Battista. La variabile “occupazionale”, cioè le turbine agli italiani, seppur con marca americana Avio, fu utilizzata anche durante i colloqui con Elisabetta Trenta, la ministra della Difesa nominata dai Cinque Stelle. I francesi si erano già preparati a fronteggiare questa legittima contestazione nazionalista e avevano proposto il salvataggio della martoriata Piaggio Aero portando in Italia la produzione e la manutenzione dei motori per gli elicotteri.
L’ASSALTO FINALE E LA VITTORIA
Per aggirare la ritrosia di Trenta sul T700 di Avio, Di Maio cercò di combinare per l’ad Procacci un incontro con la ministra. Però Trenta si rifiutò di ospitare al ministero il più alto dirigente di una società in lizza per un contratto milionario con la Difesa. Non che i francesi fossero immuni da blandizie e pressioni.
La gara del motore con gli americani mobilitò l’Eliseo sino alla stanza di Macron e Christian Masset, l’ambasciatore transalpino a Roma. E alla fiera dell’aerospazio in Turchia i manager di Safran si fiondarono sulla ministra. Per assumere una decisione inoppugnabile e non provocare un disastro geopolitico o erariale, la ministra Trenta ordinò agli esperti della Difesa di fare una valutazione dei motori candidati per «specifiche tecnico-operative, eventuale aggravio dei costi, possibilità di accedere alle risorse europee».
I collaboratori e il gabinetto della ministra - chi lo presiedeva, il generale Pietro Serino, è lo stesso di oggi - e anche lo Stato maggiore della Difesa si soffermarono su un punto assai delicato: il motore di Avio avrebbe comportato spese “suppletive”, cioè maggiori rispetto a Safran, di almeno 80 milioni di euro e altri 35/40 milioni in più per «oneri associati alla esigenza di estensione della vita dei velivoli in dismissione per ritardi nella consegna».
Scegliere gli americani di Avio significava rinunciare ai finanziamenti europei perché, per ottenerli, il progetto degli elicotteri di Leonardo, già supportato dai polacchi, richiede la partecipazione di un terzo paese dell’Unione. Anche Leonardo segnalò delle criticità di Avio, ma ha sempre lasciato la decisione all’acquirente, dunque all’Esercito, tant’è che oggi fa sapere che «il programma degli AW249 è in linea con le richieste di pianificazione operative della Difesa e il motore è conforme e si può esportare».
Settembre 2019 spazzò via il governo gialloverde, il dem Lorenzo Guerini prese il posto di Trenta e la temuta «accurata comparazione fra Avio e Safran» fu disinnescata. Già in dicembre, rimesso ordine ai riferimenti internazionali dopo il varco scavato da Di Maio, la direzione nazionale armamenti della Difesa comunicò a Leonardo di preferire il motore di Avio confezionato in gran parte a Pomigliano d’Arco.
La scorsa settimana, per completare la pratica, il ministero della Difesa ha inviato al Parlamento lo schema di decreto interministeriale per la seconda fase per il varo degli elicotteri - per una spesa totale di 1,1 miliardi di euro - che necessita del parere delle commissioni competenti. Né in questo documento né in quello gemello dell’ex ministra Pinotti si cita la tipologia di motore adottata o Avio Aereo. Si decide con discrezione.
L’anziano Wilbur Louis Ross ha svolto un ruolo di assoluta preminenza nella formazione americanista di Luigi Di Maio, nel frattempo trasferitosi al ministero degli Esteri. L’anno scorso nel giurare fedeltà agli Stati Uniti sullo sviluppo delle reti 5G - ovvia allusione ai cinesi, invece osannati col governo Conte I - in conferenza stampa Di Maio chiamò “Ross” il collega Mike Pompeo, il segretario di Stato. Luigi deve molto a Ross e l’Avio di Pomigliano deve molto a Luigi. Come ci fu la “curva Fanfani” per immettere Arezzo sull’autostrada del Sole, così un giorno ci sarà la “turbina Di Maio”.
(Ha collaborato Toni De Marchi)