I dipendenti pubblici che lavorano nei ministeri dei Cinque Stelle hanno già presentato domanda di trasferimento. È il segnale più concreto che annuncia la smobilitazione. Ci si aspetta, con le smentite sempre in agguato, che presto il capo Giuseppe Conte ordini il ritiro dei ministri pentastellati Stefano Patuanelli (Agricoltura), Federico D’Inca (Rapporti col Parlamento), Fabiana Dadone (Politiche giovanili) e si accomodi all’opposizione.
Questa ipotesi innesca un’altra scissione nel Movimento con una fuoriuscita di parlamentari inizialmente non verso il neonato partito di Luigi Di Maio, che ne ha già accolti una sessantina, ma verso altri gruppi nuovi o misti. È un espediente politico per far emergere, a beneficio di Mario Draghi, quelli che si possono definire “responsabili” e si palesano a ogni probabile caduta di governo.
La scorsa settimana il governo Draghi ha ottenuto 172 voti di fiducia a palazzo Madama, maggioranza larga rispetto ai precedenti esecutivi. Adesso l’obiettivo è fermarsi attorno a 210. Invece alla Camera l’ormai ex capogruppo Davide Crippa sfilerà una ventina di deputati a Conte, però a palazzo Montecitorio i numeri sono più abbondanti.
Draghi per accettare la conferma deve in qualche modo liberarsi della frase troppo impegnativa che pronunciò in conferenza stampa e cioè che «non esiste un governo senza i Cinque Stelle». Potrà dire, dopo la seconda scissione in un mese, che il governo ancora esiste, ma sono i Cinque Stelle che non esistono più.