
“L'Espresso” nel numero in edicola domani e già online su Espresso+ dedica una lunga inchiesta a Vito Roberto Palazzolo, estradato in Italia dopo una fuga lunghissima. Oggi può contare su 70 proprietà tra Sud Africa e Namibia, quasi tutte intestate a un trust, per un valore di oltre 37 milioni.
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Molte delle sue attività africane sono state messe a segno attraverso l'uso di società offshore e la collaborazione di familiari di politici e generali locali. Come le cinque aziende create in Angola nel 1995 per sfruttare giacimenti di diamanti e gestite a lungo. Nello stesso anno Palazzolo è persino riuscito a inserirsi nella più grande miniera di diamanti del mondo, quella russa di Lomonosov con riserve per 11 miliardi di euro. Sempre con una sigla offshore, ne ha acquisito il 17 per cento delle azioni dalla Ao Severalmatz, rivendute l'anno dopo.
Nel 2006 in Namibia grazie al figlio dell'ex presidente della repubblica il latitante di mafia è riuscito a entrare in rapporti diretti con la De Beers, il colosso mondiale delle pietre preziose. Poi ha conquistato sette giacimenti di uranio, del valore di tre miliardi e mezzo: la concessione viene intestata al figlio del presidente, che poi la rivende a una società di Palazzolo, la Mega Diamonds registrata a Honk Kong. Dopo poco entra in scena la Forsys Metals canadese, che rileva tutto.
La Forsys oggi è controllata al 55 per cento da un fondo speculativo di Londra, il Leo Fund, gestito da Stefano Roma. Coinvolto nella scalata Bnl del 2005 e nell'evasione fiscale della famiglia Marzotto, Stefano Roma non ha pendenze con la giustizia italiana. Ai giornali namibiani, Palazzolo ha detto di averlo conosciuto bene e di aver lavorato come broker per lui.
Una versione smentita dall’interessato, che sostiene di avere incontrato Von Palace nel 2009, un anno dopo l’ingresso di Leo Fund in Forsys e dopo l’acquisto delle concessioni d’uranio. «Mi è stato presentato come rispettabile imprenditore di successo. Era molto noto nel settore minerario del Paese, anche dal management di Forsys. Non avevo idea della sua connessione mafiosa», ha spiegato Stefano Roma.
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