Sono i dottor Jekyill e mister Hyde del pubblico impiego. Lavoratori dipendenti e liberi professionisti insieme. Come i primi hanno il posto fisso e una busta paga a fine mese, come i secondi gli onorari per le cause vinte: le propine, secondo il termine ancora in voga, attinto dal latino medievale. Senza timbrare cartellini o strisciare badge. E senza affrontare il rischio d’impresa: non hanno studi in affitto, né segretarie da pagare e non debbono sgomitare per conquistare un cliente, dal momento che le cause piovono loro addosso dal cielo, ovvero dagli enti di appartenenza. Sono gli avvocati pubblici, che hanno attirato l’attenzione della legge di stabilità: i 356 dell’Avvocatura generale dello Stato, come i 273 originari dell’Inps (a cui si sono poi aggiunti 50 ex-Inpdap e 5 ex- Enpals), i 218 dell’Inail e le truppe di legali disseminate negli enti locali. Un esercito che supera abbondantemente le mille unità.
Secondo il provvedimento del governo, così come uscito dal Consiglio dei ministri, gli avvocati pubblici avrebbero dovuto sacrificare, e per sempre, la metà dei loro onorari. Poi, in una notte, tutto è cambiato: non il 50, ma il 25 per cento e non una rinuncia definitiva, ma per tre anni, dal primo gennaio 2014 al 31 dicembre 2016. Il disegno di legge è all’esame del Senato e non si escludono altre sorprese.
Ma quanto guadagnano i legali del pubblico impiego? Iniziamo da quelli dell’Avvocatura dello Stato, che obbligatoriamente difende in giudizio tutte le amministrazioni statali, la Corte costituzionale, le Authority. Secondo il conto annuale della Ragioneria generale, il loro stipendio medio, nel 2011, era di 160 mila euro lordi, onorari esclusi. E a quanto ammontano questi ultimi? Abbiamo girato la domanda a Michele Dipace, avvocato generale dello Stato dall’ottobre 2012, classe 1940 (per loro la pensione scatta a 75 anni, dieci in più degli avvocati degli enti). Per tutta risposta ci è giunto il suo discorso di insediamento, che puntava il dito contro la mole di lavoro (488 nuove cause per avvocato solo nel 2012) e vantava la quantità di vittorie: oltre il 70 per cento.
Nulla sugli onorari, certo consistenti con tutti questi successi. A versarli sono le amministrazioni “esterne” che sono state difese. Per questa ragione, le propine non farebbero neppure parte della retribuzione. Inutile cliccare l’opaco bottone “trasparenza amministrativa” del portale dell’Avvocatura: nessuna traccia dei guadagni. Tenendosi molto bassi, a quei 160 mila euro ne vanno aggiunti, in media, almeno altri 50 mila. Ma le retribuzioni apicali sono ben più elevate e diversi avvocati, con gli onorari, hanno raggiunto 301 mila euro lordi, l’attuale limite effetto del decreto del 23 marzo 2012, che ha agganciato la retribuzione pubblica massima a quella del primo Presidente della Corte di Cassazione. Sorge però il dubbio che le propine di questi legali, in quanto non formano retribuzione, possano superare il tetto.
Una classifica non smentita del trattamento economico fondamentale annuo lordo 2011 degli avvocati dello Stato dava in testa l’allora avvocato generale Francesco Caramazza, con 308 mila euro. Poi una trentina di posizioni tra i 254 e i 246 mila euro. Se il tetto imbriglia e appiattisce davvero i loro trattamenti globali, c’è pur sempre un articolo della legge di stabilità che dà la possibilità agli alti funzionari, compresi dunque gli avvocati dello Stato, di non conteggiare tutte le “collaborazioni occasionali”. Non faranno cumulo, insomma, collaudi, arbitrati, incarichi extragiudiziali autorizzati, commissioni. A meno che il Parlamento non corra ai ripari.
All’Inps e all’Inail, a differenza che nell’Avvocatura, c’è un fondo interno di bilancio da cui vengono attinti gli onorari, nel caso più tipico di vittoria: quello con “compensazione delle spese”, quando il giudice decide che ciascuna parte paghi le sue. E lo fa quasi sempre, visto che la controparte è generalmente debole: pensionati, invalidi, persone che reclamano contributi aggiuntivi. Gli onorari non vengono ripartiti secondo i meriti, di più a chi vince, di meno oppure niente a chi perde. Ma secondo la gerarchia professionale: avvocati di Cassazione coefficiente 3, avvocati con più di tre anni di servizio 2,1, altri legali coefficiente 1. Il fondo ad hoc, secondo il Preventivo finanziario 2013, è di 31 milioni e 430 mila euro. Diviso per 228 avvocati fa 96 mila euro a testa. Un calcolo certo rozzo, la classica statistica dei polli, ma che rende l’idea. La retribuzione a cui vanno aggiunti gli onorari è di 150-180 mila euro lordi per gli avvocati di primo livello e di 110 per quelli di secondo.
Sino al 2009 gli avvocati dell’Inps incassavano la parcella anche senza andare in giudizio. Una doppia determinazione di Antonio Mastrapasqua, prima come commissario, poi come presidente, nel regolamento 2010 sulla determinazione degli onorari in caso di vittoria ha previsto l’obbligo di partecipazione “a tutte le udienze, anche avvalendosi di idonea sostituzione”. Risultato: fino al 2008 l’Istituto soccombeva nel 63 per cento dei casi, oggi vince nel 58 per cento. È stato inoltre sfoltito il contenzioso: nel 2008 le cause pendenti erano un milione, il 25 per cento di tutte quelle civili nel Paese; oggi sono 600 mila, un terzo delle quali per la pensione di invalidità.
Il Fondo per gli onorari dell’Inail è di 15 milioni di euro, in media circa 70 mila euro lordi a testa. Anche questi distribuiti secondo criteri di status e non di merito. Nel 2011 si contavano ben 65 retribuzioni attorno ai 200 mila euro tutto compreso, grosso modo 100 di stipendio e 100 di propine, e molti altri legali erano a quota 160 mila. «Ma sugli onorari vi sono trattenute previdenziali del 38 per cento», osserva Luigi La Peccerella, che dell’Inail è l’avvocato generale, «paghiamo infatti anche gli oneri normalmente a carico del datore di lavoro». Il suo lordo è attorno ai 240 mila euro. «Il vero spreco», sostiene l’avvocato generale, «viene da chi non ha legali interni. All’Inail si contano 18-20 mila cause nuove l’anno, che succhierebbero non meno di 3 mila euro di parcella ognuna, ovvero 50-60 milioni. Noi vinciamo il 66 per cento delle cause e non costiamo certo così».
Un punto a favore del popolo dei dipendenti con propina è il rispetto delle quote rosa: anzi, le donne all’Avvocatura dello Stato sono 280, dunque quattro più della metà; 142 tra i legali storici dell’Inps, 12 più degli uomini; 109, la metà esatta, all’Inail. E poi va detto che gli avvocati col cedolino pagano per intero le tasse. A meno che qualcuno di loro non violi il patto di esclusiva, collaborando con lo studio di cui magari, una volta in pensione, diventerà consulente. Infine, il Comune di Roma. I legali si sono tenuti la retribuzione lorda di 43 mila 310 euro, rinunciando a quella di posizione, che arriva sino a 68 mila euro. Per un motivo molto semplice. Preferiscono di gran lunga concentrarsi sul monte onorari, che per quest’anno è pari a qualcosa come 3,5 milioni di euro. Diviso 23, quanti sono oggi, fa 152 mila euro teorici pro capite.