Cultura
agosto, 2009

Così gratis che si paga

Si chiama 'modello freemium'. Per ogni bene o servizio propone al consumatore di scegliere tra un'offerta basica free e una più ricca ma con un prezzo. Ecco come funziona. E perché ha successo

GUIDA i siti  "modello freemium"

Immaginate una bottiglietta d'acqua che non costa nulla se è senza tappo e ha invece un prezzo se la vogliamo col tappo. Se pensiamo di berla seduti alla scrivania, non è fondamentale chiuderla e quindi sceglieremo l'opzione gratuita. Ma se la dobbiamo mettere in borsa e quindi il tappo ci serve, siamo probabilmente disposti a pagare una piccola somma per chiuderla. Questo è un esempio del cosiddetto modello 'freemium', neologismo anglofono che unisce i due termini free (gratis) e premium (a pagamento). Si tratta di un sistema di business che vanta un sempre maggior numero di casi di successo e che si sta diffondendo sempre di più. Tanto che Chris Anderson, il direttore di 'Wired', la bibbia della tecnologia made in California, ha appena dedicato all'argomento un libro: 'Free: The Future of a Radical Price'.

Nel suo saggio Anderson fa un elogio del freemium, spiegandone i meccanismi e descrivendolo come uno dei modelli di business del XXI secolo. Nel freemium si offre qualcosa gratis o a bassissimo prezzo facendo poi soldi su altre voci: servizi aggiuntivi, pubblicità, prodotti collegati e così via. Un sistema simile a quello che usano le compagnie aeree low cost, che accompagnano biglietti a prezzi stracciati per poi vendere a tariffe non basse servizi extra come il 'tagliacode' al check-in.

Bene, ora dalle compagnie low cost il modello si va estendendo a infiniti altri beni e servizi. Prendete Microsoft, il cui modello di business si è sempre basato solo sulla vendita dei suoi software: il colosso di Redmond ha appena annunciato che la prossima versione di Office (il pacchetto di programmi per l'ufficio che comprende Word, Excel e PowerPoint in uscita nel 2010) sarà in parte gratuita. Se però si vorranno maggiori opzioni o, semplicemente, un software funzionante anche senza connessione bisognerà pagare.

L'azienda di Bill Gates cerca così di ripetere il successo di alcune sue rivali. Come la più acerrima: Apple che con l'App Store rappresenta uno dei casi di maggiore successo del freemium. Sul negozio in Rete dell'iPhone, infatti, ci sono tantissimi software e giochi gratis per il melafonino. Alcuni di questi hanno però delle versioni a pagamento che si differenziano dai loro 'cugini' free perché consentono di fare molte più cose. Se per esempio un'agenda digitale gratuita permette di salvare fino a 20 appuntamenti, quella a pagamento non ha limiti. Del resto Apple è stata la prima a rendere freemium anche la musica on line: prima le canzoni si potevano solo o comprare a caro prezzo sui cd o scaricare gratis da siti come eMule. Con iTunes, invece, si offrono a un (piccolo) costo gli stessi brani che sui siti tipo eMule si trovano sì gratis, ma con molta più fatica e impiegando più tempo. E il successo di iTunes è la prova che per un bene che altrove si trova 'free' la gente è disposta a pagare se si offre un servizio aggiuntivo (in questo caso, la facilità e velocità di download).

Il freemium è anche il meccanismo che c'è dietro una fetta sempre più grande dei videogame. Sono molti i siti Internet che offrono parti di giochi che però sono gratuiti solo per i primi 'quadri': se si vuole andare avanti si deve aprire il portafoglio. E la cosa non avviene solo sul Web: per esempio, lo fa Sky, nei suoi canali dedicati ai game.

Anche l'industria del video sta sposando il freemium. Hulu, caso di successo di televisione gratis su Internet, sta pensando di mettere a pagamento alcuni dei suoi contenuti. Una strada che invece ha già intrapreso Spotify, sito che consente di ascoltare musica gratis (ma con la pubblicità) e senza spot solo se si sottoscrive un abbonamento. E Last.fm, nota Web radio, ha deciso da qualche mese di proporre un abbonamento di tre euro mensili per la parte audio accanto a news e un social network gratuiti. A proposito di social network: anche di Facebook si dice che stia per introdurre dei servizi freemium, in modo da fornire al sito una fonte certa di guadagno (che ancora non c'è).

Ma Internet è piena di esempi del genere. Come Flickr, il popolare sito (di proprietà di Yahoo!) che permette di archiviare on line e condividere le proprie fotografie. L'account gratuito ha delle limitazioni (spazio a disposizione, possibilità di creare degli album e così via) che quello a pagamento (una ventina di euro l'anno) non ha. Su questa tattica ha basato il suo successo Skype, il noto servizio di telefonia via Internet: se si telefona fra utenti Skype non si paga niente, ma non è così se le chiamate sono verso cellulari o terminali fissi. E Google Earth offre una versione dal satellite molto più 'ravvicinata' e ben definita a pagamento rispetto a quella gratuita.

Anche le piattaforme che consentono di creare un blog puntano il loro business sul freemium: aprire un diario on line è gratis, ma le cose cambiano se, per esempio, si vogliono caricare tantissime foto o video. Lo stesso succede nel mercato degli antivirus: alcuni software, come Avg, sono gratuiti ma una protezione completa viene assicurata solo da una versione a pagamento.

Il successo è tale che il freemium inizia a contaminare altri settori. Ad esempio, i produttori di navigatori satellitari possono radicalmente abbassare i prezzi dei loro prodotti mettendo in vendita gli aggiornamenti delle mappe che oltre ad aggiornare la viabilità informano anche della presenza di autovelox. E i gestori di telefonia mobile offrono cellulari gratuiti per conquistare nuovi utenti o in cambio di abbonamenti. Al freemium guarda con deciso interesse anche il mondo dell'editoria. Il megastore on line Amazon ha, per esempio, dimostrato che offrire gratuitamente pagine (o interi capitoli) di alcuni libri non pregiudica le vendite, anzi. Ecco quindi che la strategia per la diffusione di libri fruibili su Kindle, il lettore di e book della stessa Amazon, sarà in parte identica con stralci gratuiti a disposizione di tutti. Rimanendo nell'editoria, diversi giornali (come il 'New York Times') stanno ipotizzando di diversificare l'offerta di contenuti on line con una parte gratis e una a pagamento. E l'agenzia di stampa Ap ha appena annunciato che presto le sue news sul Web saranno dotate di un software per stanare chi le copia gratuitamente: l'obiettivo è quello di far leggere gratis le notizie, ma se poi si vogliono usare alcuni stralci si deve pagare. Anche in Italia c'è qualcosa di simile: il sito Dagospia è un esempio di freemium con un archivio a pagamento e il mensile 'Focus' ha da poco stretto un accordo con Skebby per mandare ai lettori messaggini che raccontino in pillole i principali argomenti del giornale. Diversi quotidiani hanno poi sperimentato il freemium con la distribuzione gratuita con strillonaggio nel pomeriggio: se vuoi avere notizie fresche al mattino in edicola le paghi, se ti accontenti di leggerle tornando dal lavoro sono gratis. E ancora: sempre più aziende informatiche distribuiscono software gratuitamente e fanno soldi vendendo aggiornamenti e assistenza. I gestori telefonici americani e giapponesi puntano sempre di più a vendere a basso prezzo i servizi basici (traffico voce e sms) incassando più soldi dai servizi extra come la geolocalizzazione.

Ma il meccanismo dell'extra può estendersi molto oltre. A Gardaland hanno copiato gli 'speady boarding' delle compagnie aeree low cost introducendo un biglietto tagliacode da pagare a parte. A Roma c'è da mesi una specie di freemium turistico: molte antichità si possono vedere gratuitamente passeggiando nell'area del Colosseo, ma per accedere nel cuore dei Fori bisogna pagare un biglietto da nove euro. Qualcosa di simile viene periodicamente proposto per entrare in alcune aree di Venezia.
Il tutto si inserisce nella cultura sempre più 'playlist' e on demand del consumo: per ogni acquisto cioè si offre un ventaglio di possibilità di spesa molto ampio - da niente a tanto - a seconda dei bisogni e delle possibilità dell'acquirente in quel momento. Proprio come per la bottiglietta d'acqua con o senza tappo.

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