E quando gli si fa notare che il capo del governo che potrebbe avallare tale scelta sarebbe proprio colui che, su consiglio dell'ex presidente francese Jacques Chirac, lo avrebbe fatto venire a lavorare in Italia, il malcapitato intervistatore sarebbe la sua prima vittima.
"Se lei conosce la mia storia saprà che fin dall'inizio io sono stato sempre un uomo libero", dichiara orgogliosamente a "L'espresso", "e certamente saprà che sono stato codirettore del Théâtre des Bouffes du Nord con Peter Brook, un teatro che considerare conservatore richiederebbe un grande sfoggio di fantasia. Sì, sono stato anche direttore generale del Théâtre du Châtelet quando Chirac era sindaco a Parigi e per questo hanno successivamente detto che ero di destra. Ma quando noi etichettiamo un teatro come di destra o di sinistra che senso ha? Conta il programma, il repertorio. Un teatro come lo Châtelet, se lei studiasse le stagioni che ho realizzato, non potrebbe certo essere considerato conservatore. Sono pure stato nominato direttore del Festival International di Aix-en-Provence da un ministro di sinistra. Poi il mio incarico è stato confermato da un ministro di destra. Questo per dirle che per me è il progetto che conta. E se constato che il mio teatro è in difficoltà e la crisi della cultura di un Paese, anche se non è il mio, è arrivata a un livello preoccupante, lo dichiaro e senza peli sulla lingua".
E qual è la situazione della cultura in Italia?
"Oggi il Paese che ha forse il più grande patrimonio di cultura al mondo è anche quello che fa meno per proteggerlo, almeno in Europa. Perché? Perché le forze politiche non considerano la cultura come un bene essenziale. Le farò un esempio: alcune settimane fa la Cina ha comprato un piccolo pezzo della Grecia. Oggi l'Italia fabbrica automobili che si chiamano Fiat, come la Germania le Bmw. Fra dieci o 15 anni la Cina sarà capace di produrre da sola una macchina come la Bmw o la Fiat. Ma c'è una cosa che la Cina non potrà mai comprare o riprodurre: la cultura, il passato, il patrimonio di un paese, che appartiene ai suoi cittadini e che nessuno potrà mai vendere. Oggi in Italia, in un momento di difficoltà economica, non solo non si protegge, ma quasi si rifiuta questo bene che si chiama storia, musica, pittura, letteratura. È grave, pericoloso, che un paese perda il rapporto con le sue radici: rischia di ammalarsi. Se la cultura non sarà difesa, anche la Scala incontrerà gravi difficoltà, è inevitabile".
Ma qual è lo stato economico della Scala?
"Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto solo bilanci in pareggio. L'aiuto dei privati è e rimane fondamentale e vale per il 16,4 per cento del budget complessivo. La contribuzione dello Stato italiano per il 2009 è stata di 37 milioni di euro e la Scala lo stesso anno ha pagato 39 milioni di euro di tasse. Possiamo dire che oggi la Scala ha dato 2 milioni in più al ministero dell'Economia, rispetto a quanto ha ricevuto. La Scala è un'azienda esemplare, grazie al lavoro appassionato dei suoi 800 lavoratori e con una produttività di quasi 300 serate l'anno. In questo panorama sconfortante devo però segnalare come positiva la decisione che il Consiglio dei ministri ha preso tre settimane fa, ovvero il regolamento che prende atto della specificità della Scala. Ed è positivo che questo regolamento sia giunto in breve tempo: primo passo concreto verso l'autonomia che la Scala insegue da sempre".
È davvero complicato dirigere il più prestigioso teatro lirico del mondo?
"C'è la pressione della stampa, del pubblico, quella politica, quella sugli artisti. Un teatro molto diverso dagli altri. Però se io guardo i quattro ultimi spettacoli, "Barbiere di Siviglia", "L'occasione fa il ladro", "L'elisir d'amore" e "Carmen", sono contento. I posti sono andati tutti esauriti, gli abbonati erano entusiasti, i grandi cantanti hanno lavorato bene e con grande soddisfazione personale".
C'è ancora, da parte dei cantanti soprattutto stranieri, il timore del loggione?
"Da questo punto di vista, questa è stata la stagione più positiva. Il pubblico della platea, ma anche quello difficile dei loggionisti, ha risposto positivamente alle nostre proposte. A esempio, la cantante Anja Harteros, tedesca, è stata una splendida Amelia nel "Simon Boccanegra", ed è stata assai apprezzata, dimostrando che pure gli artisti stranieri possono affrontare il repertorio italiano in maniera lusinghiera. Lo stesso è accaduto con Juan Diego Florez, Rolando Villazon, la Joyce DiDonato. L'italianità come si è codificata nella storia del belcanto è una definizione dell'anima e dell'espressione musicale e può essere difesa validamente da chi non è italiano".

"A partire dalla seconda metà del Novecento la situazione internazionale, sul repertorio italiano, tedesco e francese, è molto cambiata. La relazione fra la nazionalità del conduttore, i musicisti che lo supportano e il brano interpretato non è più scontata come una volta. Se io oggi, alla Scala, voglio fare un'opera di Donizetti, Bellini o Rossini, faccio molta fatica a convincere i grandi direttori italiani, perché magari preferiscono Verdi o un autore tedesco. In Germania è la stessa cosa: pensi a Simon Rattle che con i Berliner Philharmoniker suona il barocco o gli inglesi. E a Daniele Gatti che qui alla Scala ha fatto una "Lulu" e un "Lohengrin" stupendi. Oggi il mondo è molto più aperto. Barenboim è un grande direttore e ha consentito di ampliare i repertori tradizionali. Ha fatto l'opera francese, italiana ("Aida" in Giappone è stata un trionfo), la tedesca, la russa. Ha sviluppato il ciclo Schoenberg-Beethoven. Il livello che Barenboim impone a se stesso e alla Scala è molto alto".
Abbado tornerà?
"Abbiamo dei rapporti ottimi. Nel 2012 si concretizzerà un suo importante progetto, ormai definito".
Se lei fosse ministro della Cultura, come valorizzerebbe maggiormente i monumenti e le manifestazioni?
"Questo fine settimana sono andato a visitare il castello di Torrechiara, a Langhirano in provincia di Parma. C'era una mostra dedicata alla grande cantante Renata Tebaldi. Non conosco nessun altro paese al mondo dove all'interno di un luogo così stupendo si possa organizzare un'iniziativa capace di far rivivere l'anima di una grande artista del teatro musicale. È visitata in un anno da 80 mila persone! Un gran bell'esempio".
Preferisce la Tebaldi o la Callas?
"Le adoro entrambe. Guardi, qui nel mio ufficio ci sono i loro ritratti, uno accanto all'altro. Due vite di segno quasi opposto, due artiste diversissime. In alcune serate la Callas ha fatto cose uniche, la Tebaldi era più continua. Il sovrintendente magari avrebbe preferito la Tebaldi, più sicura, meno capricciosa. Il direttore artistico invece la Callas, per il suo desiderio di eccezionalità, per il fascino del rischio".
Alcune importanti case vitivinicole vorrebbero abbinare il nome di grandi vini a quello di popolari personaggi della lirica. Due marchi che si renderebbero virtuosi reciprocamente, per far vendere di più all'estero il made in Italy...
"Ma perché no? Noi abbiamo concretizzato con Tod's un progetto di marketing. Questo ha portato benefici a tutti. Se le cose sono fatte bene, rispettando l'identità dell'istituzione Scala, non ci trovo niente di male. L'Inghilterra ha avuto un momento di difficoltà per i teatri nell'epoca di Margaret Thatcher. Fu deciso allora di investire una percentuale della lotteria nazionale nella cultura. I risultati furono confortanti.
Esperimenti, idee: perché non rispondiamo con queste, all'arrivo delle difficoltà economiche, invece di tagliare sempre e soltanto?".
Quali sono le messe in scena predilette nel suo quinquennio?
"Il "Tristano" di Daniel Barenboim e Patrice Chéreau mi ha dato grande soddisfazioni, anche per il riscontro di critica sulla stampa. Ma amo anche il "Ciclo Janacek". E quel che hanno fatto Daniel Harding e Peter Stein per il "Castello di Barbablù" di Bartok e "Il prigioniero" di Dallapiccola. Poi la "Carmen", secondo spettacolo simbolo per noi, con la Anita Rachvelishvili nel ruolo del titolo appena uscita dall'Accademia e la regista, Emma Dante, all'esordio lirico. Con il grande impegno di tutti i complessi artistici e tecnici, guidati da Barenboim".