Le notizie sono due: il film "Scialla!" di Francesco Bruni applauditissimo a Venezia e vincitore di Controcampo Italiano 2011, uno degli otto film italiani selezionati per il Pusan International Film Festival che si è appena concluso in Corea, uscirà nelle sale il 18 novembre. E in contemporanea uscirà anche il romanzo "Scialla!" (Mondadori) che Giacomo Bendotti ha tratto dalla sceneggiatura del film. La storia è quella di un padre insegnante, padovano, alle prese con un figlio 15enne che più romano non si può, un coattello il cui slang cinico e coloratissimo riflette il modo di comportarsi e di parlare degli adolescenti di oggi, romani ma non solo.
Con Francesco Bruni dunque, al debutto da regista dopo tante scenggiature scritte per Paolo Virzì, parliamo di "Scialla!" e gerghi giovanili.
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Come si è preparato per questo film?
«Ho un figlio di 17 anni e una di 13, dunque non ho fatto altro che appizzare l'orecchio dentro casa. Da scrittore parto da un approccio veristico, per me la caratterizzazione linguistica e vocale è uno strumento chiave per la creazione del personaggio. Il 15enne non poteva parlare come un libro stampato».
E infatti parla come un coatto...
«Credo che oggi i ragazzi si atteggino a fare i coatti molto più di quanto lo siano realmente. Lo fanno, anche quelli ben nati e del centro storico, per darsi una identità forte e diversa dai genitori: la coatteria è una rappresentazione potente rispetto a genitori - e mi ci metto anch'io - troppo deboli, incerti nella lettura del presente, pieni di scrupoli e ossessioni di correttezza politica. Invece il coatto trancia la realtà, gli dà una tortorata, sdeeeng! Una velocità e una essenzialità che conquista i ragazzi».
L'uso dello slang per lei è positivo?
«Sì, quando implica un esercizio di creatività, un'invenzione linguistica. Dire a uno "ti piglio per le orecchie e ti scarto come una caramella" è un'elaborazione interessante. Lo slang deve essere un arricchimento. Purtroppo diventa un impoverimento quando si usa solo quello e non si sa più parlare italiano. Anche io da ragazzo, a Livorno, con certe persone e in certi quartieri mi "intonavo", ma l'italiano lo sapevo bene. Invece noto che sempre di più lo slang giovanile tende a ridursi a forme di sintesi e risparmio del pensiero, di annullamento delle sfumature e impoverimento del vocabolario».
Ci racconti come parlano i suoi figli.
«Quello di 17 anni a casa si esprime come "er monnezza". Capisco che è una messa in scena contro me e sua madre che lui vede come "intellettuali", visto che quando incontro i genitori dei suoi amici mi fanno i complimenti per la proprietà e la scioltezza del suo linguaggio. E anche la figlia 13enne, che è un genio a scuola e legge Tolstoj, ogni tanto si compiace di usare slang come "a papa', stai a sgrava'", cioè la stai buttando fuori, stai sbagliando».
Perché ha intitolato il film "Scialla!"?
«Perché è l'interiezione che sento risuonare di più a casa mia. I miei figli la mettono in testa a quasi tutto quello che dicono: "Scialla oggi entro alle 9", "Scialla mangio dopo", e così via. È un'espressione sintetica che si passa facilmente, chi la capisce la sente come una parola d'ordine, chi non la capisce ne è incuriosito. E comunque ha funzionato: dopo la presentazione del film, a Venezia, sentivo le persone dire "Ci scialliamo in spiaggia?" oppure "Scialla ci vediamo più tardi». Un'altra frase che mi sento dire spesso, e che mi piace, è "non t'accollare", che vuol dire non essere appiccicoso (come la colla), non rompere».
Altri slang contenuti nel film?
«Un'espressione che mi incuriosisce è "Che tajo!" per definire una cosa bella, che piace. Non capisco però perchè associare un'esperienza positiva a una ferita....».
Come spiega la nostra Slangopedia, in carcere chi sfoggia più tatuaggi sul corpo e tagli specie sulla faccia è quello più macho, più fico degli altri. E ancora?
«Mi fa molto ridere "è una chiusa" per indicare una fissazione: nel film abbiamo la frase «L'odio è troppo una chiusa!». Oppure la parola "soggettone": io pensavo fosse un complimento, invece è negativo, vuol dire un tipo sfigato, imbranato. Farsi accompagnare alla scuola media dai genitori è da soggettoni, ad esempio. E non è affatto una cosa scialla».
Cultura
17 ottobre, 2011Un padre (Fabrizio Bentivoglio) alle prese con un figlio coatto che più romano non si può. E' l'esordio alla regia di Francesco Bruni, che dice: "Mi piace quando il dialetto diventa creatività linguistica: dire a uno 'ti piglio per le orecchie e ti scarto come una caramella' è un'elaborazione interessante"
Scialla! E lo slang diventa film
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