Ai vostri casting si sono presentate anche ragazze molto giovani: ventenni decise a reimporre la centralità del corpo come strumento d'azione politica. Non la sorprende questo atteggiamento, in un momento in cui si allunga il fascino di movimenti come “Women against feminism”?
«Nonostante la maggioranza delle giovani donne non si riconosca come femminista - complice un po' di ignoranza storica e una rilettura mainstream che ha svuotato la parola dei suoi significati piú “avanzati” - se le ragazze di oggi hanno una maggiore consapevolezza di quelle che chiamiamo le politiche del corpo è proprio grazie ad un percorso storico e di riflessione delle donne. Non mi sorprende questo atteggiamento tra le più giovani. Non c'è bisogno di aver un master in studi di genere per notare che il corpo delle donne è il territorio simbolico più sfruttato ed espropriato: col corpo delle donne si vende di tutto e sul corpo delle donne si concentra un'oppressione spaventosa. E non parlo solo degli standard di bellezza ma anche di quell'idea di pudore per cui, ad esempio, allattare in uno spazio pubblico diventa un gesto pornografico. Anche non avendo una coscienza politica o dei saperi specifici questo paradosso è evidente. E la ribellione – che può prendere forme diverse ma che evidenzia in ogni caso la necessità di riappropriarsi del corpo e della sessualità come spazio di libera espressione – è un fatto inevitabile».
C'è, tra voi, chi parla esplicitamente di censura, in Italia, nel cinema. Anche lei è convinta che molte fantasie delle donne non trovino ancora possibilità di espressione?
«La censura è una diretta conseguenza dell'esaltazione di quelle regole di mercato che valorizzano ciò che è “vendibile”, senza considerare che è l'offerta a generare la domanda. Il grande esperimento di marketing che è stato “50 sfumature di grigio” (mi rifiuto di considerarlo un caso letterario, se quella è letteratura io sono Virginia Woolf) può essere considerato come un paradigma: una storia di sottomissione malamente travestita da sadomaso viene pompata come “porno per madri” e durante una lunga stagione promozionale te la ritrovi su tutti i media e come referente di qualsiasi discorso possibile sulla pornografia. Il libro è stato venduto ovunque: edicole, supermercati, autogrill, forse anche in macelleria».
Sembrerebbe il contrario della censura...
«La censura non funziona più come apparato repressivo che vieta esplicitamente, piuttosto rende invisibili le forme dissidenti (o le ridicolizza: in questo la televisione è maestra) ed esalta quelle forme di “trasgressione” che sono funzionali al mantenimento del sistema, come la sottomissione femminile al maschio ricco e potente. Voglio dire che non esiste una censura che vieta, esistono le regole di mercato che impongono ciò che è vendibile e ciò che non lo è, perché minimamente dissidente».
È la difficoltà che Le ragazze del porno stanno vivendo nel reperire finanziamenti?
«Esattamente. A livello mediatico c'è una grandissima curiosità, e un pubblico potenzialmente enorme, ma nessun produttore si prende la responsabilità di agevolare economicamente un'iniziativa che potrebbe essere molto remunerativa.Il potere clericale e sessuofobico non si manifesta con la repressione diretta, ma agisce in maniera sotterranea, togliendo ossigeno alle iniziative piú avanzate. Per fortuna però le forme di produzione culturale cambiano (si pensi al crowdfunding) e come Ragazze del porno siamo talmente motivate che ci stiamo buttando anche senza rete. La censura non ci ferma».