Una suora italiana al fianco di Rob Lowe. Gaia Scodellaro: «Perché ho lasciato il mio Paese»

Napoletana, classe 1985, dopo diverse esperienze di fiction, cinema e web l'attrice è protagonista nella serie tv inglese "You, Me and the Apocalypse" nei panni di una religiosa. «La fama? Non è importante»

Con l’arrivo di Netflix, il vaso di Pandora è stato aperto: e ora la serialità televisiva – come anche, forse, il cinema – non saranno più la stessa cosa. Perché Netflix le ha cambiate. Tanto e profondamente. Aggiungendo al DNA dell’intrattenimento un nuovo cromosoma, quello della continuità temporale: ogni episodio che segue il precedente fluidamente, come un film senza fine, dieci, dodici ore di girato che sfilano una dietro l’altra, l’inizio, l’epilogo, i protagonisti.

Ora la serialità – non solo in Italia, ma nel resto del mondo – è cambiata. I colossi del piccolo schermo se ne sono accorti. Ed è così, con questo spirito, che nascono i nuovi prodotti. In Italia c’è qualche eccezione, come Non uccidere sulla RAI (che però, preso nel fuoco incrociato di Tale quale show e Il segreto, è stato rimandato all’anno prossimo), Gomorra e 1992 su Sky. Negli altri paesi, invece, c’è già una regola: o ti adatti o muori, è la legge della giungla. E così nascono progetti come “You, me and the Apocalypse”, una commedia mascherata da dramma, tanti personaggi, moltissime location e un cast internazionale.
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Tra i protagonisti c’è anche Gaia Scodellaro, classe ’85, napoletana: interpreta Suor Celine al fianco di un gigante della televisione, Rob Lowe, che invece ha la parte di un prete, don Jude Sutton. Gaia è una ragazza, pelle ambrata e capelli mossi; ha un sorriso bianco e invitante e una voce calma ed educata. Ha lavorato ovunque in Italia. Dalla fiction al cinema, passando per il web. Poi ha deciso di andarsene. «È importante seguire le opportunità che ci vengono offerte», ci risponde quando le chiediamo perché. Viene un po’ difficile, però, nascondere l’amarezza.
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Hai già lavorato in tv e al cinema in Italia; com’è lavorare per una produzione straniera?
Sono fortunata perché conosco sia l’inglese che l’italiano; il mio bilinguismo ha sicuramente reso più facile per me lavorare in una produzione straniera. Resta comunque il fatto che lavorare a una produzione come questa è stato, per me, un'esperienza molto diversa. È la prima volta che lavoro in un progetto così grande, con una troupe enorme e con un cast così famoso. Ti senti come se stessi partecipando a qualcosa di veramente speciale, soprattutto quando vedi quanto le persone che hanno investito in questa serie ci credano.

Netflix, finalmente, è arrivato anche in Italia. Pensi che questa sarà una buona occasione per la nostra televisione?
Decisamente. Netflix e tutti gli altri servizi di streaming hanno avuto un impatto incredibile sulla tv ed il cinema; stanno creando programmi originali e un palinsesto che può essere raggiunto non solo da un televisore, ma anche dal cellulare e dal tablet, dalle console di gioco e dal computer. Gli spettatori possono decidere cosa guardare, e possono farlo vedendo tutti gli episodi in una sola volta. È importante che in un’era come la nostra, tra social media e internet, anche l’Italia abbia accesso a questo servizio, e che le serie italiane vengano inserite tra i programmi.

A proposito di internet: hai lavorato anche sul web, in diverse serie. Credi che in Italia Youtube – ma più in generale la community della rete – rappresentino un punto da cui ripartire?
Lavorare su Youtube è stata un'esperienza unica. Dopo un piccolo ruolo in tv, nel 2011 ho iniziato a lavorare sul web con “Stuck - The Chronicles of David Rea”. Sono stata a stretto contatto con un gruppo di persone giovani ed innovative che avevano la libertà di produrre, scrivere, dirigere, e recitare a modo loro.

Quindi, in questo senso, lavorare sul web è più meritocratico e sì, più libero?
Non c'era alcuna pressione da parte della produzione, né limiti a quello che potevamo dire, a ciò che potesse essere adeguato o inadeguato per il pubblico. Quello che contava veramente era raccontare una storia nel miglior modo possibile. Credo che il mondo di Youtube abbia aperto tante porte per i giovani, persone di talento che non sarebbero state in grado di raccontare le loro storie in un mondo competitivo e limitato come quello dell’industria dell’intrattenimento.

Torniamo a “You, Me and the Apocalypse”. Come ti sei avvicinata al progetto?
Mi è stata data l'opportunità di fare un provino tramite la mia agenzia di Roma. Pur non sapendo nulla sulla trama, ho ricevuto una descrizione completa del mio personaggio, Suor Celine, insieme ad alcune scene. Cercavano qualcuno che parlasse italiano e desse un po’ di autenticità al personaggio di una suora italiana. Io mi sono limitata a girare un video-provino che poi abbiamo inviato alla produzione a Londra. E come si dice: “the rest is history”.
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E parliamo proprio del tuo personaggio, una suora italiana. Un pilastro di umanità e di fede. Com’è stato interpretarlo?
È stato abbastanza impegnativo. Perché spesso non sappiamo nemmeno che cosa pensare delle suore. Vivono una vita che non molte persone potrebbero sopportare. Per interpretare Suor Celine mi sono spesso chiesta come sarebbe stata la mia vita se avessi preso i voti. Anche indossare un velo e il fatto di non doversi preoccupare dei capelli o del trucco sono stati importanti. In un certo senso, è stata un’esperienza liberatoria.

Più che della fine del mondo, la serie sembra parlare d’altro: dell’importanza di vivere la vita giorno per giorno.
Precisamente. Dobbiamo ricordarci di dedicare del tempo alle persone a noi più care, di godere la vita, di amare, di spegnere i cellulari, i laptop, di leggere un libro, ascoltare musica, viaggiare e non aspettare che sia troppo tardi per fare tutte queste cose.

Dovessi dare un consiglio a un aspirante attore o un’aspirante attrice che cosa gli diresti?
Lavorare e studiare tanto. Fare ricerche su tutto quello che c’è da sapere, vivere questo mestiere fino in fondo e fare pratica il più possibile. La fama non è importante. Un artista è artista anche senza fama. Nel momento in cui scrivi sei uno scrittore, nel momento in cui vai a fare un’audizione sei un attore, dalla prima pennellata su una tela sei un pittore. L’importante, spesso, è cominciare a crederci.

Conviene rimanere in Italia per fare questo mestiere? O è meglio andarsene fuori, all’estero?
Credo che sia importante seguire le opportunità che ci vengono offerte. Ci sono stati straordinari film italiani che hanno avuto un impatto importante nel mondo del cinema a livello mondiale, vedi "Otto e mezzo", "I soliti ignoti", "Una giornata particolare", "Novecento" o "La vita è bella". E ci sono tanti attori, produttori e registi italiani che sono apprezzati anche fuori dall’Italia. Personalmente adoro il cinema italiano e spero di poter lavorare di nuovo qui, ma sono anche contenta di poter lavorare in altri paesi con diverse produzioni, sperimentando tutto ciò che il mondo ha da offrire. Le persone non devono avere paura di partire, anche se questo significa lasciare la comodità di una vita già collaudata, in un certo senso. C’è bisogno di portare il proprio paese dentro di sé in ogni progetto sul quale si lavora.

Quali sono le differenze più importanti che hai trovato tra le produzioni italiane e quelle straniere? Budget a parte, certo.
In realtà non poi così tante. Mi sono sempre trovata benissimo con le varie troupe in tutte le mie esperienze. In Italia si è sempre creato un clima familiare ed amichevole tra tutti. La stessa cosa è successa sul set di "You, Me and the Apocalypse". Mi sono sentita subito a mio agio, ho legato molto con il cast, e ci sono state tante risate con la troupe e i tre registi con la quale ho lavorato.

Dei tuoi prossimi progetti, invece, che cosa ci puoi dire? So che adesso sei in Germania.
Per il momento non ci sono progetti concreti e sto valutando delle proposte. Nel frattempo sono molto entusiasta della mia nuova vita a Berlino e cerco il più possibile di viverla giorno dopo giorno e di godermi tutto ciò che mi circonda in questo momento.

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