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Cultura
marzo, 2016

Da 'Aborro' a 'YouPorn', ecco il dizionario sui luoghi comuni

Una carrellata di stupidità che ormai costellano il nostro vivere quotidiano, raccolte dalla A alla Z dallo scrittore Giuseppe Culicchia. Dagli amici (che sono su Facebook) alle citazioni della Fallaci, dal salutismo ai tronisti, un tentativo di glossario del disinganno nazionale

Sulle orme nobili di Gustave Flaubert, Giuseppe Culicchia dà alle stampe per Einaudi "Mi sono perso in un luogo comune. Dizionario della nostra stupidità". Una carrellata di frasi fatte, conformismi, ipocrisie, stereotipi e cliché più o meno salottieri e meglio (o peggio) travestiti del nostro tempo; uno stupidario indicizzato agli anni dieci del terzo millennio. Un diario in pubblico che si specchia nel vissuto personale dello scrittore torinese per poi rifrangersi in mille vocaboli dal contenuto sovente tagliente. Mille lemmi "classici", non tag, dalla a alla z, per un tentativo di glossario del disinganno nazionale.

Da aborrire ("caratterizza il Mughini") a Youporn ("chi? io? Mai"), il j'accuse dell'autore non risparmia nessun presunto e corrivo abito mentale dell'homo contemporaneus tricolore, a colpi di definizioni secche e inappellabili.
Quella che ne viene fuori è una terra ossessionata dall'apparenza (i tronisti, l'eterna adolescenza), dal salutismo (la fobia degli alimenti e degli stili di vita cancerogeni: quando fu introdotta, si pensava che persino la tv a colori provocasse il cancro, ricorda Culicchia), dalla recessione o meglio, dalla fatidica crisi (che può essere di mille tipi, "d’astinenza, matrimoniale, internazionale, occupazionale, economica, dei consumi, dei costumi").

Una penisola dove gli amici veri sono stati sostituiti da quelli di Facebook, e dove è sempre più presente e pesante il ricatto psicologico del terrorismo, con la caccia inconscia all'arabo e la gara a citare Houellebecq e la Fallaci. E i demoni endogeni, o d'importazione evocati dallo scrittore torinese non finiscono qui. Ci sono i delitti in diretta e il tripudio di applausi che puntualmente accompagna le morti eccellenti, fossero anche di boss della mala; le scorciatoie professionali intrise di cinismo, salvo ufficialmente puntare l'indice contro le mafiette e le pastette, ché tanto pecunia non olet e i "sacrifici sono necessari, purché li facciano gli altri"; la moda degli hipster, del bio, dell'eco-compatibilità, delle foto di gatti da condividere in chat, delle partenze intelligenti, del marketing con la tecnica dello stalking, dei lucchetti dell'amore, delle auto in argento metallizzato.

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E ci sono i cervelli in fuga e l'impoverimento implacabile della middle class; il buco dell'ozono e l'incubo della catastrofe ambientale perennemente in agguato, benché stra-annunciata; i guru del gossip e l'allarme meteo di massa, compulsiamo terrorizzati le previsioni dell'ora dopo anche se dobbiamo scendere sotto casa. E la vita, che si è trasferita sui social network, finanche i tramonti sembrano essere stati inventati per cristallizzarsi lì.
È un vocabolario-divertissement sfrontato e pieno di spine questo di Giuseppe Culicchia. A tinte parossistiche: e così gli italiani sarebbero generalmente affetti da mancanza di autoironia (pur millantandone a fiumi), da ignoranza e maleducazione, da un ritrarsi del rispetto, da razzismo strisciante, da inguaribile doppiezza, e da uno spirito di schietta antipolitica fino ad auspicata e avvenuta cooptazione nel sistema, con l'eterno familismo amorale che ne consegue.

Vede nero e manicheo, forse troppo lo scrittore, ossessionato a sua volta (tra le tante idiosincrasie catalogate) dai condizionatori d'aria, dal buonismo post-veltroniano, dagli alternativi figli di papà, dai cascami del '68 e dalle conventicole letterarie; e punta il suo binocolo in una direzione sola, in un tempo in cui anche i difetti e le mollezze d'animo si sono omologati su scala globale. Di illimitato, per Culicchia, resterebbe non più il progresso ma "al massimo il numero di sms".

Povero e "stupido" Belpaese, punteggiato da ecomostri, archistar e obbrobri architettonici. Povera Italia, piagata dai luoghi comuni e "massimo produttore mondiale di eccellenze italiane". Un dizionario della stupidità, lettera dopo lettera, (non) ti salverà.

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