«Allà Akba!!!» Omar lancia il suo grido di battaglia e parte all’attacco. Ma Giulio non si fa intimorire. Omar pesa la metà di lui, anche se gli si lancia addosso dalla cima dello scivolo non vincerà mai.
Marina di Grosseto, costa meridionale della Toscana. Due bambini maremmani di 12 anni giocano sulla spiaggia gridando «Dio è grande», ma non lo sanno. Non sanno neanche che Allahu Akbar è la frase araba con cui inizia la preghiera dei musulmani, per loro è solo un grido di guerra, la moderna versione del «Ti spiezzo in due» anni 80, una frase che rende potenti e invincibili. Non conta che significhi esattamente il contrario: un riconoscimento della propria soggezione di fronte alla grandezza delle divinità. Per un 12enne italiano è solo un suono che rievoca la forza sterminatrice di chi si lancia in mezzo alla folla e si fa esplodere. La strategia dei terroristi ha centrato in pieno il suo obiettivo: un uomo che si uccide per uccidere è diventato il simbolo della potenza. Che l’attentatore sia morto, è secondario. Resta solo il perverso successo della sua azione. Il suicidio, che di per sé rappresenta la più grande sconfitta dell’uomo, è diventato una clamorosa vittoria. Perché la vita non conta, conta solo la sua rappresentazione.
I giovani nati dopo l’11 settembre 2001 sono venuti su a latte e internet, non possiamo pretendere che siano loro a disegnare una linea che divida virtuale e reale. Si muovono continuamente da un mondo all’altro, ne fanno anche una strategia di sopravvivenza. L’azione di un kamikaze che si fa esplodere in Siria è troppo disumana per essere vera, somiglia più ai giochi sparatutto della Playstation o della Wii: migliaia di proiettili al minuto, scontri con le spie di tutto il mondo, il protagonista muore ma poi il gioco ricomincia da capo. D’altronde passa tutto dagli stessi schermi, la guerra in Medio Oriente come i videogame, i reportage in prima linea e i fake con finti terroristi, le parodie e i documentari. Puoi entrare in un mondo o in un altro a seconda di dove porti il cursore o di quale bottone spingi. Clic, spegni la realtà e entri nel gioco. O almeno credi. Nella chat della playstation puoi ritrovarti i reclutatori di Isis che vanno a caccia di adepti, nei giochi on line puoi scontrarti con un soldato americano che si addestra o con un jihadista che si annoia. Senza contare che i combattenti del Califfato si fanno ritrarre dai fotografi nelle pose dei protagonisti di Call of duty, il videogame più venduto del mondo.
Non è che i ragazzi non lo sanno, cosa è vero e cosa no, solo che la realtà è qualcosa di più flessibile di come lo era vent’anni fa. È “liquida”, dicono, prende la forma del suo contenitore, occupa lo spazio che i ragazzi le lasciano occupare. Chi è nato nel secolo scorso, quando ancora c’era il muro di Berlino e non esistevano i voli low cost, è abituato invece alle cose solide, a quei confini che sembravano fermi e invalicabili. E quindi continua a mettere barriere: fili spinati per allontanare gli immigrati, misure protezionistiche per salvare la propria economia, missioni militari per costruire un cordone sanitario. Ha stabilito che il confine delle terre amiche comprende Malta ma esclude Tunisi.
L’ultima frontiera d’Europa è l’isola dei Cavalieri a cui fu affidata la difesa dei cristiani a Gerusalemme. Oltre, ci sono gli altri, che guarda caso sono musulmani. Gente che non ha niente a che fare con noi e che tutto sommato può anche morire senza che i nostri ragazzi rimangano turbati. Il guaio è che questo confine è inventato, non esiste, perché non possiamo più nascondere ai nostri figli cosa succede oltre il muro. Il mondo di oggi è nato l’11 settembre, quando il nostro è finito.
«Certo che lo so, l’11 settembre 2001 è il giorno in cui hanno fatto esplodere i grattacieli a New York. Sono morte migliaia di persone». La generazione Zerozero la conosce quella data. Tutti gli anni gliela ricordano i telegiornali e l’immagine delle Twin Towers che crollano è qualcosa di troppo spettacolare da dimenticare. Ma perché due aerei si sono infilati nelle Torri Gemelle? Come mai qualcuno voleva uccidere migliaia di civili innocenti? «Non lo so, erano dei pazzi» «Ce l’avevano con gli americani» «Era gente che si voleva vendicare. Gente musulmana». Chi ha 13, 14 o 15 anni ha l’immagine dei grattacieli in fiamme davanti agli occhi, ma le ragioni, i protagonisti, le conseguenze, non le sa. L’11 settembre è uno dei tanti video che appaiono su youtube quando cerchi “cose più strane nella storia” o che vengono linkati su facebook per sostenere la teoria del complotto. «Ancora non si è capito se l’attentato veniva da fuori o se gli americani se lo sono fatti da soli. Ma in fondo mi interessa poco».
A noi, che dividiamo i nostri ricordi tra prima e dopo quel momento, sembra impossibile che loro guardino crollare le Twin Towers senza impressionarsi. Ma per chi era davanti alla tv quel giorno, quella era la prima trasposizione nella realtà di uno spettacolo che aveva visto rappresentato solo al cinema, per chi è nato dopo il 2001, invece, è la realtà che diventa spettacolo. Gli Zerozero sono abituati a persone vere che diventano personaggi, non viceversa. Guardano gli youtuber che trasformano in spettacolo le loro vite, cliccano sulle “coincidenze più assurde” dove i fatti del mondo sembrano rispondere a una trama, al massimo scaricano le serie tv americane, sempre più affannate a correre dietro il presente. Noi – che ci guardiamo le stesse serie loro, ma ci fregiamo di leggere anche i quotidiani, o meglio la loro home page - ci limitiamo a redarguirli con frasi alla zia Peppa: ah, quando eravamo piccoli noi c’erano solo i cartoni animati su Italia 1! Altro che youtube, ci facevamo le cassettine registrando le canzoni dalla radio! Leggiti un libro, invece di stare tutto il giorno davanti a quello schermo!
E invece lo schermo – del telefonino soprattutto, ma anche di tablet e tv - è l’unico mezzo che gli ha insegnato qualcosa, visto che né i professori né i genitori osano affrontare l’argomento. «Ho visto un documentario spagnolo una volta, spiegava che l’attentato l’hanno fatto gli estremisti islamici. Ma a farmi paura non è tanto morire in quel modo, mi sembra peggio essere uccisi lentamente, soffrendo». Bang, due a zero per i terroristi.
Dopo che al Qaida ha reso normali i kamikaze, Isis ha messo in piazza la tortura, conquistando tutta l’attenzione del nemico. Ha gettato nella preistoria l’organizzazione di Bin Laden («Chi è Bin Laden? No, non l’ho mai sentito nominare») e conquistato la scena. Per gli Zerozero il terrorismo equivale agli atti di sadismo dello Stato Islamico e dei suoi seguaci in Europa. «Te la faccio vedere io, ti mando l’Isis!» «Scappiamo che arriva l’Isis» «Sei una faccia di merda, sei peggio dell’Isis». Il Califfato ha solo tre anni ma è penetrato nell’immaginario globale come una lama nel burro. Sfrutta il potere delle immagini, spamma i social network di filmati e regala a youtube milioni di clic. Con un miliardo di persone che ogni giorno si collega al sito di video sharing, i terroristi hanno a disposizione il pubblico più grande della storia. A contendergli il primato, ci sono solo Pewdiepie e CutiepieMarzia: il primo è lo youtuber più seguito del mondo, la seconda è la sua fidanzata, che fa lo stesso mestiere. Più precisamente, Pewdiepie è un gamer, cioè un giocatore di videogame che racconta agli altri le sue giornate alla console, facendoli spaccare dalle risate. CutiepieMarzia invece è makeup oriented youtuber, cioè una che insegna a truccarsi e a capire cosa va di moda. Sono la coppia d’oro dei teen-ager, il loro specchio. Non è che a noi andasse meglio, con Brenda e Dylan impegnati a vestirsi cool a Beverly Hills. Però Brenda era un personaggio inventato, Marzia è una persona reale. Lo spettacolo lo fa mettendo in mostra la propria vita, magari fingendo un po’, ma chi saprà vedere il confine? E chissà se i terroristi fingono o fanno sul serio, se anche sono attori di una grande recita ad uso e consumo degli spettatori globali.
«Mi ha fatto impressione quello che è successo in Francia. C’era un camioncino che vendeva gelati e poi è partito e ha ammazzato tutte quelle persone». A 9 anni Alida non sa niente dell’11 settembre, ma gli attentati del 2015 e del 2016 ce li ha stampati negli occhi. «Ho avuto paura delle bombe a Parigi e negli aeroporti, vorrei capire come stare al sicuro». Anna si è appena iscritta al liceo, e dice che i professori delle medie non le hanno spiegato niente, mentre lei vorrebbe sapere cosa sta succedendo. «Ho paura quando i miei genitori vanno in trasferta. Io abito in una piccolo paese, qui non può succedermi niente. Ma nelle grandi città è pericoloso», spiega Antonio, 11 anni, che sa spiegare perfettamente come si sono fuse le Twin Towers, ma anche lui non conosce Bin Laden.
«Quest’estate in vacanza ho sentito uno scoppio e ho pensato: oddio bisogna scappare è arrivato l’Isis!». Carolina è nata nel 2002 e di attentati in Europa ne ha vissuti parecchi, ma quando sono esplose la stazione di Madrid (2004) e la metropolitana di Londra (2005) era troppo piccola per rendersene conto. D’altronde, al Qaida non ha fatto niente per ricordarle quelle prodezze: nessun video virale da riproporre ogni anno, nessuna foto che scaldi le chat nei social network, nessuna teoria del complotto. Isis, invece, punta tutto sulla propaganda, sullo shock visivo. Solo così è riuscita ad attrarre combattenti stranieri da tutto il mondo e ci ha fatto credere di aver mandato in soffitta al Qaida. Su Instagram, il social più usato dai preadolescenti, circolano a manetta foto e commenti sugli attentati di Parigi, Nizza e Bruxelles. Eventi più recenti, certo, ma anche più ripresi, ritwittati, riguardati. I ragazzi stavolta si sentono coinvolti, anche perché l’Erasmus ha dato i suoi frutti, sparpagliando amici e parenti dei genitori a giro per l’Europa: «Un mio cugino vive proprio vicino a Place de la Republique!», «mia zia ha la casa a Nizza!», «Gli amici dei miei stanno a Bruxelles» «Il collega di papà proprio quel giorno doveva prendere l’aereo!».
L’allarme c’è, dunque, ma non si vede. Se non glielo chiedi espressamente, i ragazzini non ti parlano di cosa pensano dei terroristi. E gli adulti non glielo chiedono. Spiegare i motivi è troppo difficile e a leggere i giornali ci sono tanti perché quanti gli esperti intervistati. Lo psichiatra che tira fuori la fragilità mentale, il sociologo l’anomia, l’antropologo l’identità, lo storico il conflitto regionale, il prete la radicalizzazione, il politico i governi irresponsabili.
Il terrorismo è il fenomeno più analizzato del secolo e anche il meno compreso. È ancora più difficile spiegarlo se l’immagine che ne abbiamo è distorta. Bisogna recuperare la verità, ripulendola dalla propaganda. Gli attentatori che colpiscono in Europa non somigliano all’immagine stereotipata di un terrorista, con la tunica e la barba («Quando andiamo in gita e ne vediamo uno vestito in quel modo ci scansiamo»), l’islam non dice né di ammazzare civili innocenti né di giustiziare i prigionieri, anzi, obbliga a trattarli con rispetto («Forse la loro religione gli dice di fare questa guerra»), d’altra parte non è vero neanche che la religione non c’entra niente, che i terroristi sono solo pazzi, perché invece una versione integralista della fede consente di manipolare le menti di chi ha bisogno di poche e semplici regole («No, non credo che sia una questione di religione»).
E infine Isis: ci ha stupito con i suoi effetti speciali e convinto di essere l’organizzazione combattente più forte del mondo, al punto che anche i giornalisti del tg si confondono e gli attribuiscono la responsabilità di attentati che invece ha rivendicato al Qaida, come quello a Charlie Hebdo. In realtà il suo potere si concentra in un’area molto piccola di Siria e Iraq e i gruppi affiliati entrano e escono dai network jihadisti a seconda di cosa conviene, e ci metteranno un attimo a tornare in seno all’organizzazione di Bin Laden. In nome della guerra al Califfato, l’Italia ha appoggiato gli americani nelle operazioni contro Isis a Sirte, in Libia. Ma la città viene “liberata” senza che uno Stato la prenda in affidamento. E quando la natura vede un vuoto, lo riempie. In Libia, come in Afghanistan, questi vuoti li sta riempiendo al Qaida, che - nonostante i proclami del Pentagono - non è affatto sconfitta. Tre a zero per loro.