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Cultura
giugno, 2018

La globalizzazione dei dilettanti si misura sui mercatini

Lo stesso oggetto più o meno trash venduto sulle bancarelle da un capo all'altro del mondo. A portata di shopping familiare

Per tenere sott’occhio l’andamento della globalizzazione, casomai la letteratura socio-economica fosse al di sopra dei nostri mezzi (o della nostra pigrizia), basta prendere in esame un contesto molto accessibile: non il mercato, appunto, ma i mercatini. Quelli rionali, quelli natalizi, quelli gastronomici.
Quelli che percorrono i sentieri della Cabala e si manifestano solo il terzo sabato del mese. Quelli con i libri usati e quelli con l’imbonitore vecchia scuola.

Vanno bene tutti, senza stabilire perimetri e parametri, purché siano davvero “ini”. A portata ?di shopping familiare. È proprio lì, tra furgoni e bancarelle, che noi dilettanti possiamo misurare la globalizzazione. È proprio lì, dove ?il 2018 sembra tagliato fuori, che possiamo misurare la prepotenza dell’indistinto sull’identità.

Cose piccole, quindi significative. Gli stessi orecchini, anellini, braccialettini a Madrid e a Poggibonsi. Gli stessi vestiti fricchettoni a Bergamo ?e a Copenaghen. Una sorta ?di spaesamento al contrario, insomma, che livella ogni sbalzo ?e rende cruciale la persistenza dei “diversi”. A cominciare dai “più diversi”: gli onnipresenti venditori di residuati bellici! Non importa quanto l’offerta e la domanda risultino trash: importa ?la scelta di piazzare prodotti necessariamente unici e irripetibili. Il romanticissimo Volksgeist dei mercatini. 

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