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Nel mondo del live action dove Jasmine è catapultata, per il remake di “Aladdin” appena arrivato al cinema, una collezione di abiti mai vista prima - colori insoliti come il magenta; accostamenti arditi, l’arancio col verde malachite; tessuti costrittivi via via sempre più morbidi e meno claustrofobici, - racconta una metamorfosi ben più profonda di un semplice upgrade di guardaroba.
E poi lei, la protagonista, Naomi Scott: non è la stessa dei“ Power Rangers”, Pink power che contagia una nuova generazione di supereroi, e una delle intrepide “Charlie’s Angels”, in uscita a fine anno?
«Jasmine è sempre stata la mia principessa preferita: forza da combattente e spirito da leader. È una figura politica», esulta l’attrice nata a Londra, da madre di origine indiana e ugandese. «Come tutte noi ragazze di oggi, Jasmine è tante cose contemporaneamente: ciò che amo in lei è che può essere forte, ma può anche permettersi di piangere».
La rivoluzione è compiuta. Dopo anni di manovre di avvicinamento, principesse che si fingono uomini (Mulan), ribelli che sfidano le regole e le aspettative (Merida), baci di passione soppiantati dall’amore insostituibile tra sorelle (Elsa e Anna), e figure sempre più indipendenti (Vaiana che affronta il mare in solitaria, la bibliofila Belle, che sa vedere oltre le apparenze della Bestia), è finalmente arrivata la principessa-sultano. La fanciulla che non ha bisogno di sposare Aladino per ottenere il regno del padre, come l’originaria principessa era costretta a fare. Semmai che l’amato Aladino sostiene, e accompagna - in un ulteriore, rivoluzionario, cambio di passo - perché ottenga ciò che le spetta: per eredità, ma soprattutto per la sua spiccata leadership.
Hanno coniato una parola per raccontare il contrordine di Disney rispetto a un immaginario di principesse sognanti e remissive: “feminisney”. Un fenomeno visibile ormai da qualche anno, anche nella scelta degli interpreti, appunto: vedi il ruolo di Belle ne “La Bella e la Bestia” affidato a Emma Watson, ex Hermione di Harry Potter ora convinta femminista e icona di impegno per la parità di genere (“Le principesse sono cambiate” è il titolo della sua biografia, edita da Piemme). E i colpi di scena, sparsi qua e là a sorpresa, hanno ribadito il concetto: come il pigiama party in “Ralph Spacca Internet”: un intero pantheon di principesse stravaccate su pouf e vestite nel modo più comodo possibile, sneaker, canotte e felpe, e patatine e frappè in mano, come ragazzine comuni in vena di ore piccole fuori casa.
Ma l’effetto, in questo ultimo capitolo, immerso in un Medio Oriente da Mille e una notte accuratamente liberato dai cliché, è dirompente per gli immaginari globali: Jasmine, la principessa che vuole il regno, perché lo conosce più di tutti; che ama il popolo e intende colmare la distanza che si è creata col sultano; che ha studiato per diventare capo, e si merita il trono ben più della parata di banali pretendenti che sfilano all’inizio del film (la questione sta per esplodere: goffi, insignificanti, rozzi: non sarà nociva ai maschi una rappresentazione simile?), ha una voce nuova, convincente, carismatica, autorevole. E tutta sua, letteralmente: non si era mai vista una principessa esaltare la presa del potere con una canzone che è come un ruggito: “Speechless”, musica di Alan Menken e testi del duo Benj Pasek-Justin Paul di “La la land”. Eseguita, ha detto l’attrice Naomi Scott, pensando a tutte quelle donne che alzano la voce in difesa della loro dignità. E interpretata, in italiano, dalla grintosa Naomi di X- Factor.
La realtà, certo, è decisamente più complessa. Su Disney piovono ciclicamente le polemiche: e vuoi che Aladino non riaccenda quelle sulla tentazione del “whitewashing”? O che il cast, così accuratamente multietnico – l’afroamericano Will Smith nei panni del genio, Aladdin-Mena Massoud, attore canadese di origini tunisine, Jafar-Marwan Kenzari olandese di origini tunisine - non induca il sospetto di un artificio politically correct? Non solo. Dalla California arriva ora anche l’accusa all’azienda di discriminare le donne, sottopagandole rispetto agli uomini, in un divario retributivo di genere considerato, riporta The Guardian, “radicato e diffuso” . E poi c’è l’America: quella disneyana è la stessa di Trump, che calpesta i diritti di molte minoranze deboli, come quelli delle madri separate dai figli alla frontiera. E dove la clamorosa retromarcia di uno Stato, l’Alabama, riporta indietro i diritti delle donne e spedisce il loro corpo, e il diritto all’aborto, al centro della campagna elettorale. Maschile.
Ma un fatto è innegabile: il vento di cambiamento che un team di autentici influencer, consapevoli della forza straordinaria del brand Disney, sta imponendo alle sue produzioni.
“Aladdin”, diretto da Guy Ritchie, uno che ha avuto l’empowerment delle donne in carne e ossa dentro casa, per essere stato il marito di Madonna, è stato scritto insieme con John August, apertamente gay e in prima linea in molte battaglie contro le discriminazioni, oltre che collaboratore del visionario Tim Burton (sue sono le sceneggiature di “Big Fish”, “La fabbrica di cioccolato” e “La sposa cadavere”).
Né è un caso che la Jasmine del ventunesimo secolo arrivi mentre è direttore creativo della Walt Disney Animation, al posto del geniale John Lasseter, Jennifer Lee, regista e sceneggiatrice di “Frozen”, già salutato come il film Disney più femminista di sempre. La nomina di Lee è stata inserita dagli osservatori americani per la parità tra i momenti più significativi del 2018 a favore delle donne, in un elenco che includeva, per capirci, la vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez su Joseph Crowley alle primarie democratiche e di Marina Hierl al vertice di un plotone di fanteria dei Marines.
Donne che fanno squadra. Generazione - qualche anno in meno, qualche anno in più - di cinquantenni, che ribadiscono l’impegno per una rappresentazione di eroine sempre più autentiche. E deliberatamente attente alle scelte sessuali di tutti.
Nel novembre scorso, l’Lgbt Center ha attribuito il Vanguard Award alla Marvel Comics per la sua attenzione nel ritrarre personaggi e trame che contribuiscono alle battaglie antidiscriminazioni. Vice presidente esecutivo della Marvel, sussidiaria di The Walt Disney Company, è oggi Victoria Alonso, dichiaratamente lesbica. “Black Panther” ha aperto gli scenari a una maggiore inclusione, dopo decenni di eroi solo bianchi ed etero. E “Capitan Marvel”, diretto da una donna (Anna Boden, col marito Ryan Fleck), è stato un successo di Marvel Studios, distribuito da Walt Disney Studios Motion Pictures, con una ragazza supereroe per protagonista, e un’ amica per alleata. Come in “Aladdin”, dove fa la sua apparizione Dalia, amica complice e autentica di Jasmine, nell’originale del 1992 soltanto con la tigre Rajah a farle compagnia.
Donne capaci di esercitare forza fisica e gentilezza, e di concepire la politica e il potere in modo nuovo: «L’ambizione di Jasmine non è finalizzata a progredire da sola, ma a farlo per il bene del suo popolo», ha notato l’attrice protagonista su Entertainment Weekly, che al remake di Aladino ha dedicato un intero numero. Proprio come le “ireniste” richiamate dalla filosofa Donatella Di Cesare, che cercano la pace ed edificano la polis: «In attesa di una nuova politica pensata dalle donne, che spezzerà il lugubre nesso con la guerra, le ireniste preferiscono vedere nel nemico un avversario con cui si ammette di dover condividere un mondo, con cui si ha dunque un rapporto di rivalità, ma anche allo stesso tempo di coesistenza».
«C’è una grande confusione sul significato di talento: le ragazze pensano che significhi solo saper cantare o ballare, o primeggiare in uno sport. Le storie giuste possono insegnare come riconoscere il proprio “dáimon”, il genio ispiratore, come allenarlo e trasformarlo nella propria arma più forte», dice Veronica Di Lisio, direttore editoriale di Giunti, che pubblica i libri con i marchi Disney , e che ha appena lanciato la collana “Storie di talenti”, per lettori dai 6 anni in su. Si comincia con il coraggio e con la gentilezza, attraverso le storie delle principesse Belle e Cenerentola. A settembre arriverà il secondo volume dedicato alla gratitudine e all’unicità, con l’aiuto di Jasmine e Aurora. Spin off delle storie originali, editate in Italia, che hanno per protagoniste le principesse da piccole, per raccontare l’incanto della scoperta di sé.
«Certamente avrei potuto scegliere figure più moderne. Ho preferito le principesse più classiche perché i loro gesti, le loro emozioni, i sentimenti, non sono manifestazioni di una femminilità passiva e tradizionale, ma nascondono atteggiamenti rivoluzionari da mettere in luce. Cenerentola bullizzata dalle sorellastre è una figura ben più complessa della semplice fanciulla in attesa del principe azzurro. E riscoprire il valore della gentilezza non significa adeguarsi a una prerogativa sociale delle donne: oggi più che mai, una persona gentile sa ascoltare e ottiene cose straordinarie».
Creative, ribelli, audaci. Le ragazze in libreria hanno solo l’imbarazzo della scelta, tra principesse dei ghiacci, dei deserti, dei coralli, con scarpe da corsa o tra i grattacieli di Manhattan. Tra le biografie di donne straordinarie - i due bestseller delle “Storie della buonanotte per bambine ribelli” di Francesca Cavallo ed Elena Favilli (Mondadori) restano un successo insuperato - imperdibile è anche il graphic novel che Sinnos ha realizzato da un suo classico, “Cattive ragazze” di Assia Petricelli e Sergio Riccardi.
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Al momento, c’è solo un posto dove modernità e tradizione sono alla prova definitiva: nel regno di Yogyakarta, in Indonesia. Qui, il sultano ultrasettantenne Hamengkubuwono, che non ha eredi maschi, è deciso a lasciare il regno alla figlia, Gusti Kanjeng Ratu, studi all’estero e cariche sintetizza l’anima giavanese, sta lottando per realizzare il sogno di Jasmine.