Con “Musica che unisce”, (di Matteo Catalano, Alberto Di Risio e Duccio Forzano), serata benefica per l'emergenza sanitaria in favore della Protezione Civile, è accaduta una cosa strana, inedita, ma di una forza spiazzante: un guizzo di mai visto si è palesato dalla piccola scatola dei salotti ripieni. Cantanti di ogni genere e numero, si sono esibiti nelle loro camere, negli studi casalinghi, tra il divano e i cuscini stropicciati.
Fregandosene bellamente della perfezione del suono, hanno afferrato microfoni e indossato le cuffie per fare semplicemente il loro mestiere. Senza giochini, artifici, luci fatate, scale impraticabili e cori salvavita. Dimostrando una serie di cose.
Innanzitutto che i social non sono solo gattini. Perché quella che per gli anziani su Rai Uno è stata una visione del tutto inedita, in realtà è un'esperienza che su Instagram si vive quotidianamente, da quei dì lontani in cui addirittura non si sapeva che accidenti fosse il Covid19.
Poi che la conduzione quando suona la musica è del tutto accessoria. Liberata dal “signore e signori buonasera”, senza trucco e parrucco di improvvisati esperti del nulla costretti a sperticarsi in aggettivazioni sparse, la canzone dura e pura fatta di chitarra e tastiera, con qualche eco casalingo e dall'unico riverbero dato dai soprammobili appoggiati sul pianoforte, basta da sola a riempire il vuoto.
Infine che il coraggio premia sempre. A cantare in cameretta, tra le piante d'appartamento senza ancore tecniche di salvezza, con un filo di rimmel e il maglioncino del pomeriggio ci vuole coraggio a palate. E se la nota sfugge, l'inquadratura traballa e la luce invecchia non importa a nessuno. Anzi. Fa sentire tutti nella stessa casa. Per una volta vicini, a suon di musica.
