L'alieno è tornato. Per la quinta volta Rai Uno ha aperto il sipario su “The Voice Senior”, bizzarro oggetto misterioso della galassia televisiva, in cui i partecipanti spesso non sanno neppure cosa voglia dire la parola follower. In cui si gareggia per partecipare, perché a volte la vittoria sta tutta lì. Un talent in cui il talento è già manifesto, il coraggio non serve, tutti “ti arrivano” senza moine e i giudici, complici e amici, non bisticciano semplicemente perché non ne sentono il bisogno. Mancano solo i dischi volanti, ma bastano i vinili, quel profumo d’antico a cui restare ben stretti.
Nel programma di Antonella Clerici, che come si dice vanta più tentativi di imitazione della settimana enigmistica, si piange ben poco e si soffre ancora meno. I protagonisti hanno gli occhiali, un’ombra di rossetto, un tacco cinque e quel tocco di pizzo che ha il rumore di un biscotto inzuppato nel tè, con un velo di latte, giusto un accenno. E praticamente questo programma sul piacere dell’accenno ha costruito la sua ragion d’essere. Esattamente come la conduzione luccicante della padrona di casa, capace di passare dal fantabosco del mezzogiorno alle scale di Sanremo con naturalezza endemica per poi ritornare su questo palco come una sarta gentile che con ago e filo cuce e ricama le diverse personalità armate di foulard. E le prende per mano per guidarle davanti a un microfono non per una seconda volta, non come l’ultima occasione da cogliere al volo ma come un regalo che i singoli cantanti in gara scartano con loro stessi, lasciando l’adrenalina a chi ne ha ancora bisogno o fa finta di averne. Perché alla fine quel che conta davvero sono sempre le voci, altro che storie.
Ogni protagonista arriva col suo vissuto ben stretto tra le mani, ma una volta tanto diventa un contorno, senza quel desiderio spasmodico di tirar fuori quella lacrima sul viso a tutti i costi, in chi parla e in chi guarda. E quel bagaglio si porta ma senza colpe e senza peso, più sostanza che forma, più torta che glassa.
Così arrivano, srotolano i metri di euforia, chiudono gli occhi e cantano liberi, come se non avessero ancora smesso, pensando all’ora e non al mai più. Insomma, un modo per riprendere in mano una vita passata e non dimenticata, messa solo per un po’ da parte per altre occasioni, un figlio, una sposa, un tramonto da guardare, una casa da abitare. E tra un vibrato e una reclame, l’esperienza non si trasforma in rimpianto, lo spettacolo non deraglia, la polvere non si vede, il piacere si condivide e la voce si alza solo per cantare. Senza balorde nostalgie. E di questi tempi sembra davvero fantascienza.
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DA GUARDARE
Il vero problema con Teresa Mannino è che fa davvero troppo ridere. Al punto che si rischia di perdere gran parte delle battute del suo spettacolo “Il giaguaro mi guarda storto” (su Nove e in streaming su Discovery+). Tra infanzia, futuro, donne e libertà, un gran bel piacere da condividere anche fuori dal teatro.
MA ANCHE NO
Si va verso la riconferma di Pino Insegno alla conduzione di “Reazione a catena”. I bassi ascolti dello scorso anno (circa quattro punti percentuali perduti) sono stati colpa degli Europei di calcio e delle Olimpiadi. Ma come suggeriva Belushi, anche dello smoking lasciato in tintoria, l’alluvione, le cavallette...