È superfluo ripeterlo ma la catastrofe della pandemia non risparmia nulla. C’è un intero ecosistema culturale che rischia di essere spazzato via. Anche poche settimane di lockdown, con i teatri sbarrati, i cinema svuotati, le mostre sospese, le librerie chiuse, i festival rimandati o cancellati possono diventare fatali per un universo così fragile. E le inevitabili limitazioni della cosiddetta riapertura stanno facendo il resto. D’altra parte se c’è una cosa che il Covid ha immediatamente inibito è la socialità, quella rete di desideri e relazioni su cui si fonda ogni iniziativa culturale.
Che fare dunque? Come resistere? O addirittura come pensare di fare un buon uso della catastrofe, cogliere l’occasione per ripensare le nostre attività in forme e modalità che non rimuovono una Mutazione che non volevamo ma è qui, e non possiamo ridimensionare? A Roma nei primi giorni di ottobre ci proveremo con un festival del tutto nuovo. Si chiama Insieme. Perché, tanto per cominciare, raduna negli stessi giorni tre festival culturali (Libri Come, Massenzio Letterature, Più libri più liberi) che solitamente si svolgono in stagioni dell’anno diverse. Ma a coordinarsi sono anche le strutture organizzatrici, i curatori dei programmi, le varie istituzioni che li hanno finora sostenuti, i luoghi stessi della città che li ospiteranno (l’Auditorium Parco della musica e il Parco Archeologico del Colosseo).
Nell’età della grande frammentazione e dei piccoli narcisismi questo embrionale “fare sistema” sarebbe già una buona notizia. Ma la vera sfida è un’altra. È imparare dal Covid non per ricominciare o ripartire - come si dice con sospetta sbrigatività - ma per accogliere il Cambiamento, provare non a subirlo ma osare perfino valorizzarlo. Intanto rivendicando la centralità di due valori fondamentali: Sostenibilità e Responsabilità. La prima è la parola chiave della nuova fase della battaglia socio-ecologista, circola da anni, alimenta festival e associazioni di valore ma non ha mai realmente ispirato iniziative che paiono da sempre inseguire un mito opposto: quello dei grandi numeri e dell’offerta abbondante, fino alla più ipertrofica delle società dello spettacolo.
Ora anche qui dobbiamo imparare a praticare un’idea del limite: non sprecare tempo, spazio, risorse. Non ignorare il contesto. Cercare ciò che davvero è essenziale. Un festival sostenibile comporta magari qualche rinuncia (per esempio al feticismo della presenza fisica in nome della circolazione più ampia e accessibile del contenuto) ma consente di condividere esperienze che altrimenti diventerebbero semplicemente impossibili.
Responsabilità è parola e valore ancora più decisivo perché implica direzioni diverse. La prima è la sicurezza, nel senso più ampio ma anche stringente del termine. A costo di apparire pedanti, ogni manifestazione pubblica deve nelle sue forme incarnare l’idea di responsabilità verso la vita propria e soprattutto le vite altrui. Elemento non banale anche perché è doloroso rinunciare alla festosa promiscuità delle file, dei dibattiti, degli incontri.
Ma c’è un’altra sostanziale forma di responsabilità che riguarda il modo in cui la cultura in tutte le sue forme, tanto più in quelle pubbliche, parla ai nostri contemporanei. Può ignorare che chiunque visiti una mostra, entri in un teatro, partecipi a un festival arriva oggi colmo delle sue angosce e delle sue domande? Può sottrarsi all’attesa non certo delle risposte ma dello spazio da aprire a questi sentimenti, a emozioni senza precedenti che rischiano di restare serrate in dimensioni personali, solitarie, al massimo familiari?
Un festival che con risorse e in spazi pubblici non si misuri con queste nuove dimensioni dell’esperienza si espone a un rischio che per la verità si era già affacciato, nell’affollato e tutto italiano panorama di manifestazioni, festival e fiere: quello della futilità, dell’effimera celebrazione di una passione rispettabile ma irrilevante. Il rischio oggi diventa fatale. Responsabilità vuol dire anche costruire programmi che entrino in sintonia con questi sentimenti, con la profondità degli individui che invitiamo a partecipare. Non ha certo l’ambizione di diventare un modello, un festival come Insieme. Nasce sotto l’urgenza e dentro l’emergenza. Ma forse è una esperienza che segnerà una discontinuità. Perché nel tempo del Covid c’è da combattere la pandemia ma anche da imparare quello che ci rivela.
Marino Sinibaldi, tra i curatori di Insieme, condurrà “Il coraggio e la cura”, incontri sui temi resi urgenti dalla pandemia. Tra gli ospiti Salman Rushdie e Yuval Noah Harari . "In direzione contraria" è invece il titolo dell’incontro tra Erri De Luca e Zerocalcare moderato da Marco Damilano (1 ottobre, ore 18,30, Auditorium)