Una sera d’inverno Marcel Proust inzuppò un dolcetto paffuto nel tè di tiglio e improvvisamente venne invaso dal delizioso piacere del ricordo. Un gusto del passato, che pensava perduto per sempre e invece era proprio lì, nascosto, che aspettava solo l’occasione giusta, in questo caso una briciola di madeleine, per rispuntare all’improvviso. Più o meno quello che accade allo spettatore ogni qualvolta Riccardo Iacona si riaffaccia con la sua “Presa diretta” nella prima serata di Rai Tre.
Basta un’occhiata alle immagini dell’anteprima, che basterebbero da sole a diversi programmi per farne un’intera puntata, che quel sapore di buon giornalismo perduto riaffiora, abbracciato alla consapevolezza che sì, una televisione diversa sarebbe anche possibile.
Peccato poi che generalmente, dopo lo sprazzo di luce degli otto appuntamenti di stagione, il buio torni a regnare incontrastato, riportando in onda i consueti allarmismi raffazzonati, le risse scomposte in studi multicolore, e soprattutto gli ego spropositati armati di microfoni che urlano all’esclusiva invocando il “guardami guardami guardami che sono io il più bravo di tutti”.
Per questo bisogna stare bene attenti a non sprecare il tempo prima che diventi perduto e farsi schiaffeggiare con grazia da quel giornalista in camicia bianca, dalla faccia sgualcita e dalla erre casuale, e la sua ottima squadra che ogni volta cerca di marcare la differenza con l’arma micidiale della normalità.
Così i numeri costellano la serata nella loro crudezza effettiva, senza l’impulso irrefrenabile di essere giocati come al lotto, i fatti vengono raccontati per quello che sono nella loro enormità, senza puntare l’inutile dito del compiaciuto disappunto, e lo sguardo viene rivolto all’esterno, perché solo così chi guarda vede davvero qualcosa.
Vede gli invisibili del terremoto dimenticato, abbandonati tra le macerie come fossero fantasmi. Vede i ritardi dell’amministrazione della cosa pubblica, che lascia una scia di danni a lunga gittata. Vede i buchi della sanità attraverso chi dalla sanità non è stato salvato. Vede il lavoro compiuto dalle singole persone nel bel mezzo di una tragedia epocale. Vede le interviste puntuali fatte a persone informate sui fatti che possono aggiungere e puntualizzare qualcosa anche senza alzare la voce. E vede come e se si possa andare avanti, senza necessariamente rimettere i piedi nelle stesse orme lasciate dagli errori passati.
Un racconto sempre laico, asciutto, misurato, essenziale. Come si deve. Peccato che duri poco, come il ricordo di Combray.
Cultura
3 settembre, 2020Laico, misurato, asciutto: Riccardo Iacona dimostra ancora una volta che è possibile mettere l'ego da parte per una tv migliore
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