Per staccare la spina dai ritmi frenetici e alleviare bruciori di stomaco da stress non bastano più i consigli di un imperturbabile Calindri, perché il logorio della vita moderna ormai ci ha sommersi completamente. Il vortice di impegni e la smania di rispettare le scadenze non risparmiano più nessuno, le comunicazioni devono essere sempre fulminee, ma le sane interazioni sono quasi del tutto scomparse. Rincorriamo il nostro quotidiano anche se in realtà non scappa, ma ci sentiamo costretti a farlo per mantenere attiva la competizione.
Siamo diventati attori distratti della nostra giornata e abbiamo perso il sonno, ma non troviamo neppure il tempo di recuperarlo. Il rischio è non poter apprezzare intensamente le gioie della vita. La necessità di correre ha inciso sulla scelta di pasti al volo: ci vengono in soccorso i brand che osannano il poco salutare instant food e l’idea di ingurgitare hamburger e patatine fa gola all’impiegato frettoloso, caduto in tentazione soltanto per mancanza di tempo e che prova a riporre un po’ di fiducia negli esercizi brucia grassi di un corso di cardio-fitness. Il rapporto Bes di Istat è però lo specchio di una realtà significativa: la velocizzazione influirebbe sulla salute mentale dei lavoratori italiani, confermando che tre su dieci soffrono di ansia, depressione e perdita di controllo emozionale.
Se oggi il dinamismo è indice di produttività, sta crescendo comunque il numero di seguaci della Slow life, pronti a gettare nel cestino le agende e ad appoggiare uno stile di vita più pacato. Già lo praticavano gli antichi Romani, convinti che a condurre alla virtù fosse l’otium, ovvero il loro “tempo libero”, ritagliandosi uno spazio per la contemplazione utile a raggiungere felicità, sapienza e stima sociale. Riscoprire quella flemma è la chiave di una filosofia che invita a diminuire il ritmo, applicando il motto «prendersi del tempo non vuol dire perdere tempo».
Si tratta infatti di un rallentamento consapevole, fondato sulla rivalutazione di pochi gesti quotidiani, che nulla ha a che fare con l’idea di fannulloneria poiché è proprio la fretta a distogliere la nostra attenzione dalle cose semplici, ma significative, della vita. Secondo i simpatizzanti della Slow life è sufficiente enfatizzare approcci più tranquilli su tutti gli aspetti della quotidianità, trovando il giusto tempo per altre attività, senza pretendere da noi stessi e dagli altri più di quanto sia possibile in un tempo stabilito.
Lo Slow living non obbliga a rinunciare ad una bella carriera, ma soltanto a godersi ogni tanto anche i piccoli piaceri, come un pranzo in compagnia o una passeggiata al parco. Nell’era degli smartphone, social network, last minute, connessione sempre, comunque e dovunque, questo trend sembrerebbe un’utopia, soprattutto in ambito lavorativo, dove c’è l’obbligo della corsa. Eppure non manca il desiderio di mettere un freno, come si denota dal dilagare di eventi che sostengono lo slow working. Un esempio è lo Slow Brand Festival, ideato nel 2015 da Patrizia Musso, (direttore di BrandForum.it e docente di Brand Communication presso l’Università Cattolica di Milano) con la collaborazione dell’Associazione onlus “L’arte del vivere con lentezza” di Bruno Contigiani.
L’evento è nato come momento di confronto sul fenomeno incalzante della Slow life, promuovendo la cultura della lentezza specialmente in riferimento al mondo aziendale. Sono aumentati i manager sostenitori del dialogo tra classe dirigenziale e lavoratori e che optano per l’umanizzazione del contesto lavorativo. Un capo che fa scelte lungimiranti a livello gestionale è chiamato non a caso “slow boss”, il cui identikit è stato teorizzato da Patrizia Musso nel libro “Slow Brand. Vincere imparando a correre più lentamente”. Si tratterebbe di una figura di rilievo «che nell’ambito imprenditoriale si è saputa distinguere per aver operato a favore dei propri dipendenti e dell’ambiente circostante in modo virtuoso, mettendo in atto strategie d’impresa che pongono al centro le persone e i loro bisogni».
«Mi ha sempre affascinata il Bianconiglio di Alice con tanto di panciotto e orologio a cipolla in mano, lui correva per rispondere alle aspettative del suo boss, la Regina di Cuori. Alice non riusciva a trovar ragione di cotanto stress», spiega Musso. Come una Alice 3.0, l’autrice guarda il mondo delle imprese con lo stesso approccio della protagonista del Paese delle Meraviglie, non trovando il senso di tutta questa fretta. «Le persone-Bianconiglio mi rispondono come negli anni ’50, palesandomi la presenza di tanti brand-Regine di cuori: i mercati sono dinamici, l’evoluzione è continua. Ma, dal mio punto di vista, essere #slow non significa né fermarsi né non essere in grado di stare al passo con il cambiamento. Vuol dire invece trovare una modalità di lavoro più a misura d’uomo».
Motivo d’orgoglio sono allora diventate le aziende che, oltre alle efficaci dinamiche di welfare (maggiordomo aziendale, asili interni, orari di lavoro flessibili, corsi di yoga e pilates), hanno attivato momenti di riflessione, ragionando su tematiche che accrescono il senso del progetto di vita lavorativa e personale. Vivere al rallentatore fa anche risparmiare tempo, denaro e risorse. Chi sceglie di stare al passo con la natura ha imparato a usare meno l’auto, a non sprecare il cibo e ad acquistare una minor quantità di prodotti senza sentirsi privato di nulla. Rientra in questa filosofia lo slow-food, perché scegliere di mangiare “lento” valorizza tradizioni, sapori e profumi.
Diventa slow anche l’eco-living, un modo di abitare eco sostenibile, scegliendo un arredamento che favorisca la calma, mobili realizzati con materiali naturali, piante per godere l’armonia del verde e fibre etiche ed equosolidali per asciugamani e lenzuola. Ma la regola d’oro è dedicare più tempo al proprio benessere in casa, conducendo uno stile di vita sereno che si rifletterà anche nel luogo di lavoro. In ufficio abbandoneremo il multitasking e ci concederemo qualche pausa rilassante senza cadere in comportamenti ansiosi, indotti dalla tecnologia che ci ha illuso di poter fare più azioni simultaneamente e alla velocità del web. Ma i segnali di una crisi si fanno sentire e gli “slow supporter” di brand di lusso hanno deciso di creare degli appositi #SlowSpaces, i nuovi spazi parlanti in cui gli articoli vengono prima raccontati e poi venduti. Il negozio diventa un concentrato di relazioni tra marca e consumatore, un luogo di relax in cui coccolare il cliente, attraverso delle vere “cerimonie” di vendita, non più soltanto di prodotti, ma di esperienze. Il mondo del branding appoggia quindi lo stile slow, allungando i tempi di contatto con i propri utenti sia nell’advertising tradizionale e digitale, sia nel retail, coinvolgendo i consumatori, o addirittura i propri dipendenti, al posto di noti testimonial.
La pubblicità si trasforma così in slow advertising o slow spot, ossia una scelta comunicativa che utilizza lo storytelling come strumento per coinvolgere il pubblico in una narrazione che perdura nel tempo: dal famoso spot dei biscotti in cui Antonio Banderas impastava farina e uova con aria flemmatica, chiacchierando con una gallina, fino ad arrivare a vere e proprie sit-com dilatate nel tempo che sottolineano il legame tra prodotto e territorio.
Chi persegue la filosofia della Slow life non ne può più neppure del concetto di fast web: povertà espressiva, intossicazione elettromagnetica, shopping compulsivo, spreco di denaro, diffusione del cyberbullismo, esibizionismo e mancanza di creatività sono solo alcuni degli aspetti negativi del web veloce, che trova la sua massima espressione nell’abuso dei social network. Il Manifesto dello slow web di Viviana Taccione e Leonardo Di Paola elogia piuttosto i principi di una vita lenta e salutare. I fondatori di “I feel good”, un portale di consapevolezza, libertà e crescita personale, auspicano un uso più saggio e slow della rete.
«Otto i punti chiave del Manifesto: scrivere e non telegrafare, perché la lingua da tastiera è troppo sgrammaticata ed è necessario proteggerne la bellezza sintattica. Conoscere e non informarsi, perché i dispositivi sono tossici e ci riempiono di pubblicità ipnotica. Investire e non consumare, per imparare a usare internet in modo più consapevole. Rispettare e non giudicare perché la rete deve favorire anche il confronto con il diverso, senza cadere nel cyberbullismo. Condividere e non esibire, perché è importante anche comunicare a distanza le proprie emozioni. Relazionarsi e non “piaciarsi” per creare un luogo virtuale che valorizzi l’individuo, senza collezionare follower».
E ancora: «Diventare e non ottenere, ovvero ciò che diventeremo dovrà contare sempre di più di ciò che otterremo. Infine Creare e non imitare, perché è diritto di ogni essere umano plasmare la propria esistenza, prendendo spunto dalle grandi anime che ci hanno preceduto, allontanando l’imitazione fine a se stessa caldeggiata dal fast web», sottolineano nel documento i suoi creatori. Viviana Taccione è anche sostenitrice del downshifting, la semplicità di “scalare le marce” e autrice del libro dossier “Scomunicazione Cellulare. Difendersi da Social, Smartphone e Nanosonde imparando a godersi lo Slow Web” , in cui conferma come social network e smartphone rappresentino due schiavitù non immediatamente percepibili, ma estremamente pericolose.
Al contrario la Slow life richiede di concentrarsi sulla qualità del tempo, mettendo al primo posto relazioni sociali, creatività e semplicità. Bisogna soltanto modificare l’attitudine a rapportarsi al presente perché ogni momento vale la pena di essere vissuto, anche le pause, che servono a risintonizzare i nostri ritmi con quelli del Pianeta.