La posa del potente è il più delle volte ingannevole, ridicola e bugiarda. Nell’immortalare se stessi, gli autorevoli hanno spesso utilizzato animali a cavalcioni, si sono issati sopra i monumenti, dominatori di bestie e architetture, equilibristi su un universo di sottomissione. Se a Napoleone togliamo il cavallo, resta un uomo con il braccio alzato e gli attributi larghi, separati dalle cosce che non serrano la bestia, col deretano sospeso nell’aria a galleggiare privo di eleganza. Stessa sorte tocca a Pirro abbandonato dal pachiderma, a Garibaldi e Vittorio Emanuele nella proverbiale scampagnata di Teano.
Ecco, proprio a Teano il potere scrive una delle sue pagine più buffe: se spostiamo i cavalli sotto il sedere dei due despoti, la stretta di mano smarrisce carattere ufficiale e assume pose da macchietta bolognese. Lo stallone, a differenza, non diventa goffo se sbalza di sella Bonaparte, così come l’elefante conserva dignità pur rinunciando a Pirro e alle sue fiaccolate. La belva mantiene un’identità decorosa. Il governante, al contrario, carente della fiera, all’accavallar delle coscette rimane in sospensione brullo della sua regalità. Strano destino quello dei potenti, passano la giovinezza a desiderare il comando e quando lo ottengono perdono ogni credibilità umana, domestica e sessuale.
Lo scettro rende grottesco il corpo del regnante; l’unico che ha fatto della silhouette un emblema spezzettato è stato Cristo. E il Redentore, nella nudità, nel travaglio, nel calvario, è più seducente di qualunque prepotente annodato alla cravatta, con porta borsa al fianco e leccapiedi al seguito. Ma mentre il Salvatore fa eccezione, il dittatore si trasforma in baraccone, più comico di un coniglio che si accoppia, di un leprotto eccitato, di un cedrone col pennacchio verticale: incapaci per la vita civile, lì dove s’interrompe il comando.
La mente del popolo ha vinto ancora, ha strappato al tiranno l’intimità e sottratto per sempre la vita sociale. Una sorte antitetica a quella dei divi del cinema, che fingono come l’oppressore, ma rimangono ammissibili anche in erezione. Nessuno trova grottesco Roger Moore che fa l’amore o Omar Sharif che bacia appassionato; al contrario non c’è politico che a pensarlo nudo non amplifichi il senso della pena: a forza di ricamare sul posteriore altrui, ha smarrito quello suo. Anzi ce l’ha, traforato da mille assilli che non può controllare e che lo fanno l’imbroglione che è. Ogni volta che si spoglia. Comanda pure caro usurpatore ma intanto fammi vivere come vorresti.
Immaginiamo Stalin in cucina, non è credibile, viene da ridere pensare a un capo di Stato affaccendato tra i fornelli. Fantastichiamo Tito, maresciallo di confine, a far toletta, Margaret Thatcher con lo spazzolone, Hitler con la ramazza in mano e tanti altri più vicini al tempo in cui viviamo. Ma la rivincita suprema dell’immaginario popolare è sempre quella, ipotizzare i sovrani sotto le lenzuola, impegnati a gemere e godere: non ce n’è uno che non risulti bizzarro. Nessuna eccezione, il potere è spassoso nella sua dimestichezza, è maldestro, non avvezzo al sentimento. Il dominante è costretto a essere tale, la sua funzione ne diventa la prigione, e non c’è galera più stretta della mente del prossimo: per quanto tu cerchi di evadere dal pensiero di chi ti tiene nella testa, questi è più invalicabile di qualsiasi gabbia, di qualunque recinto. Una volta radicato nella logica del popolo, resti in quel modo per la vita intera.
La riflessione di tutti è carcere supremo, non si scappa dall’intelletto d’altri, e se la gente scompiscia quando vagheggia il potere che s’accoppia, ridacchia anche chi sta sotto, sovrastato dalla pancia respingente del reggente barzotto, incompetente ad amare perché buffone nella fantasia di chi lo ha eletto. Non c’è speranza per questi dilettanti smascherati nella loro inettitudine, inadatti all’amplesso perché il manico che ti hanno messo nel di dietro è diventato uno scalpello tra le tempie. Il dominante dovrebbe astenersi dalla sessualità perché non è riuscito a rimanere estraneo al ghigno di chi lo congettura a scopazzare. Esiliati a intimare ma privati del regno, lontani per sempre da ciò che vorrebbero apparire: persone con un corpo.