Se soffri un po’ generalmente guardi in alto, se soffri molto stringi gli occhi e ti tormenti le mani, ma soprattutto se devi andare dal punto A al punto B la telecamera ti segue con precisione millimetrica, dal corridoio al paracarro, perché anche il tempo morto deve avere una sua dignità.
Utilizzando l’arte della generalizzazione con la pala, se si dovesse riassumere in breve cosa non funziona nelle fiction italiane che non funzionano, questa potrebbe essere una sintesi soddisfacente. Per gli approfondimenti ulteriori c’è Emanuela Fanelli. Autrice comica, maestra d’asilo, attrice e irresistibile presenza televisiva, Fanelli da qualche tempo rosicchia con maestria lo spazio delle lodi riservato a Valerio Lundini, nell’appuntamento ormai purtroppo solo settimanale su Rai Due. Al punto da essere coprotagonista a tutti gli effetti eccezion fatta per la menzione nel titolo. In una equilibrata spartizione dei compiti ingrati, nel programma che rimastica la tv per esporre come una ferita aperta il disagio che solo il piccolo schermo riesce a emanare suo malgrado, Emanuela Fanelli si è presa a buon diritto la anamnesi del mestiere d’attrice tipo, comprensivo di prove altissime e relativo imbarazzo a cui si soggiace nella somministrazione suddivisa in fasce orarie.
Capace di passare con lievità irresistibile dall’annunciatrice impostata che parte per la tangente («Buonasera, il previsto programma “scusi che morde?” Ah bella domanda, come posso garantire per un pastore maremmano di 60 kg, non conosco la sua psiche... per problemi tecnici non andrà in onda, al suo posto “Una pezza di Lundini”») alla monologhista d’impegno («Donna impara dai miti del passato, Medea, Circe, Arianna sono qui che ti parlano ma io il greco non lo mastico ho fatto il classico ma c’avevo 3, mi rimandorno») si arriva al rifacimento più vero del vero, ovvero la fiction all’italiana. Dopo “A piedi scarzi”, Fanelli imbraccia pennello, lacrima facile, battuta improbabile e musica d’effetto per “Simonetta, la truccatrice di Anna Magnani”. Dove come un Bignami, si ritrova il necessario per un prodotto chiavi in mano: la biografia a tutti i costi, il sentimento spalmato come marmellata, l’incomprensione espressa dal roteare di occhi e via di questo irresistibile passo. Praticamente un risultato talmente plausibile nella sua bruttezza che viene il malfidato sospetto che possa aver riposato in qualche altolocato cassetto all’ombra del cavallo prima di essere esibito solo nella sua versione parodistica. Una sorta di Emanuela Fanelli di Rivombrosa, di cui innamorarsi a piacere. Nell’attesa che possa avere un programma tutto suo, altro che pezza.