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Cultura
maggio, 2022

«Metto in scena il mio amore per la poesia (e per Alda Merini)»

Sonia Bergamasco compone versi da quando ha vent’anni, anche se tutti la conoscono come attrice. A teatro interpreta i testi della poetessa sulla follia

«Le più belle poesie / si scrivono sopra le pietre / coi ginocchi piagati / e le menti aguzzate dal mistero. / Le più belle poesie si scrivono / davanti a un altare vuoto, / accerchiati da agenti della divina follia». Sono parole di Alda Merini (da “Vicino al Giordano” nella raccolta “La Terra Santa”), che nel corso della sua vita ha scritto moltissimo. La poesia, d’altra parte, è come un demone. Lo diceva spesso anche Maria Luisa Spaziani, che quando veniva rapita dall’ispirazione lasciava stare qualunque cosa stesse facendo e correva a scrivere.

Lo ha fatto per anni e lo fa ancora oggi anche Sonia Bergamasco, attrice e regista colta e sensibile, che compone poesie da quando aveva vent’anni e divora libri di ogni genere, purché ben scritti e capaci di emozionare. «C’è tanto bisogno di poesia, è una cosa che fa bene, può togliere la fame e la sete e dare gioia» dice. Alda Merini è senza dubbio fra le sue letture preferite, insieme a Sylvia Plath, Irène Némirovsky, Amelia Rosselli e tante altre fino a Maria Grazia Calandrone. Ecco perché appare come una scelta del tutto naturale quella di interpretare i versi di Alda Merini nel luogo a lei più caro: il palcoscenico. Lo farà a Venezia, in chiusura della Biennale Teatro diretta da Stefano Ricci e Gianni Forte, che per l’edizione di quest’anno hanno deciso di dedicare ad Alda Merini una sezione, “Late Hour Scratching Poetry”, che accompagnerà tutta la durata del Festival (21 giugno – 3 luglio). I testi saranno interpretati da Asia Argento, Galatea Ranzi, Sonia Bergamasco e dalle attrici della Scuola d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. «Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno… per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara». Così scriveva Alda Merini ne “La pazza della porta accanto”, uno dei suoi pochi componimenti in prosa, che confluirà nel reading veneziano di Sonia Bergamasco.

Lei vive a Roma da tanti anni ma è milanese come Alda Merini. Vi siete mai incontrate?
«Ogni tanto la incontravo per strada, lungo i Navigli. Ricordo il suo sorriso e la sua grande energia vitale. Licia Maglietta portò in scena uno spettacolo tratto dalle sue poesie, “Delirio amoroso”. Andai a vederlo, in platea c’era anche Alda Merini. Avevo diversi amici che la conoscevano abbastanza bene e mi dicevano che era molto generosa, componeva versi che poi regalava. Il corpo principale sarà composto da “La pazza della porta accanto” (a cura di Chicca Gagliardo e Guido Spaini, Bompiani) e da “L’altra verità. Diario di una diversa” (Bur Rizzoli). Portare la poesia in scena è una grande sfida. Ad aiutarmi ci saranno le sonorità di Demetrio Castellucci».

La poesia ha sempre attraversato la sua vita...
«La lingua poetica è sempre stata qualcosa di familiare per me, ha a che fare con la musica. Cerco soprattutto di ascoltarla, mi aiuta a vivere meglio. Però è vero che scrivo, la scrittura per me è un regalo. A giugno uscirà per La nave di Teseo la mia prima raccolta poetica. Si intitolerà “Il quaderno” e raccoglierà poesie scritte nell’arco di vent’anni. Il volume verrà presentato all’interno de La Milanesiana».

All’inizio di tutto c’è l’amore per la musica. Prima ancora del teatro. Prima ancora del cinema.
«Sì, sono una pianista, ho studiato musica per molti anni. Poi, dopo la morte di mio padre, ho sentito il bisogno di fare altro. Così ho partecipato a un bando del Piccolo di Milano e sono stata ammessa come allieva alla Scuola di Teatro. Feci il provino con Giorgio Strehler. A Milano lui era un punto di riferimento ed era subito riconoscibile con quella sua chioma bianca... In teatro mi sono sentita subito a casa, per tre anni ho frequentato la Scuola del Piccolo e poi ho iniziato subito a lavorare. Ma non ho mai lasciato la musica, è la mia carta di identità».

Qual è stato il primo spettacolo in cui ha recitato?
«“Riccardo II” di Shakespeare con la regia di Glauco Mauri. Facevo la giovane regina. E subito dopo ho iniziato a lavorare con Massimo Castri, regista complesso».

E poi c’è stato Carmelo Bene…
«Con Carmelo c’è stato una specie di corto circuito musicale. E poi tanto studio: Dante, Leopardi, D’Annunzio. Lo seguivo come un’artigiana. Il suo “Pinocchio” me lo porto nel cuore. Da ogni regista con cui ho lavorato ho imparato qualcosa ma non saprei dire cosa. Mi piace stratificare gli incontri e dimenticarli. Ogni artista dovrebbe fare una traduzione interiore delle proprie esperienze e poi crearsi la propria lingua. Da questa esigenza nascono i miei progetti, a cui mi sono dedicata per molti anni. Solo di recente, a partire da “Ritorno a Reims” di Ostermeier, sono tornata al lavoro di squadra».

Come sceglie le storie da portare in scena?
«Dipende delle emozioni che la lettura di un testo può regalarmi. Emozioni che devono essere sorrette da un linguaggio forte, naturalmente. Tutto questo mi dà il coraggio di portare in scena testi non teatrali, da “Il ballo” di Irène Némirovsky a “Karénina. Prove aperte d’infelicità”, scritto con Emanuele Trevi, con la regia di Giuseppe Bertolucci, fino a “Sylvia Plath, il canto allo specchio” andato in scena al teatro Verdi di Pordenone, che sulla facciata ha inciso i versi di Sylvia Plath».

E il cinema come è entrato nella sua vita
«Direi che è entrato dal teatro! Una sera Silvio Soldini è venuto a vedermi recitare e subito dopo mi ha proposto il corto “D’estate”. E da lì è cominciata la mia avventura cinematografica».

“La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana è forse il film che l’ha consacrata al pubblico...
«Non amo molto rivedere i miei film, anche perché ce ne sono così tanti altri da vedere! Però Giulia, la terrorista, è un personaggio che mi porto nel cuore. E poi lavorare con Giordana e con quel cast (compreso Fabrizio Gifuni, suo marito, ndr) è stata una bellissima avventura. Come lavorare con Giuseppe Bertolucci, di cui ricorrono i dieci anni dalla morte proprio quest’anno. “L’amore probabilmente” è stata una grande palestra di libertà. E ci sono stati Bernardo Bertolucci e Riccardo Milani, grazie al quale ho scoperto la mia vena comica».

Nel suo curriculum ci sono anche film di Zalone e serie tv come Montalbano. Non la spaventa spaziare?
«Direi di no, ho firmato perfino una regia d’opera. Gli incontri sono momenti di apertura, di ricchezza».

Nuovi progetti per il cinema e il teatro?
«Il nuovo film di Riccardo Milani, “Buon viaggio ragazzi” e la tournée dello spettacolo “Chi ha paura di Virginia Woolf” con la regia di Antonio Latella, a gennaio al Teatro Argentina di Roma». 

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