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Eva Longoria: «Noi donne pensiamo di non essere all’altezza. E ci viene chiesto sempre di dimostrare quanto valiamo»

Ha conosciuto il successo con “Desperate Housewives”, ora la diva americana è in prima linea per i diritti. «Ho incontrato il sessismo sul lavoro a livello di troupe, tra direttori della fotografia e produttori con forti pregiudizi, pronti a sindacare tutto ciò che facessi»

L’urgenza di diventare una attivista le è venuta diventando mamma: «Da quando ho un figlio percepisco quanto sia impellente rimboccarsi le maniche e fare qualcosa di concreto per lasciare un mondo migliore alle nuove generazioni». A parlare è Eva Longoria, 47 anni, diva filantropa texana di origini messicane che ha conosciuto il successo planetario grazie alla serie “Desperate Housewives” e prosegue la sua carriera alternando un film a una causa da sostenere.

 

L’ultimo in ordine di tempo è “Tell it like a woman”, pellicola corale a più voci firmata da sole registe. Sette storie di donne raccontate da altrettante donne, in anteprima al Taormina Film Festival, che Longoria descrive così: «Mi sono sempre impegnata con la mia fondazione, Eva Longoria Foundation, per sostenere le donne, quindi da attrice considero un onore far parte di progetti come questo al femminile. Il cinema sembra avere più difficoltà rispetto alla tv nel realizzare storie di donne raccontate da donne, è un peccato perché il cinema ha influenza sulla politica. Per questo dobbiamo impegnarci al massimo affinché le donne siano rappresentate meglio e di più, sia dietro che davanti alla cinepresa».

 

L’obiettivo dichiarato è incoraggiare le nuove generazioni: «Una ragazza deve poter guardare i nostri film e dire: “Ok, allora posso essere molto di più di quello che i media e la società dicono che debba essere”».

 

Sono lontani i tempi di “Desperate Housewives”, serie pioniera sulla rappresentazione delle donne sul piccolo schermo: «Conservo nell’armadio qualche abito della serie, di cui oggi riconosco il successo enorme, lì per lì non me ne rendevo conto. Ricordo il primo giorno del nostro primo tour promozionale, vidi una folla davanti al nostro albergo. “Per chi sono venute tutte queste persone?”, chiesi sbalordita. “Per te e per voi”, mi risposero. Stentavo a crederci: quando lavori, anche ad alti livelli, sei sempre dentro una bolla, è difficile avere percezione di che tipo di prodotto stai realizzando e come verrà accolto dal pubblico». Lavorare con le donne le è sempre sembrato naturale e stimolante, giura di non aver mai conosciuto una collega che le abbia messo i bastoni tra le ruote: «Ho incontrato solo donne che mi hanno aiutato e supportato».

 

Un esempio concreto? «La prima persona che mi ha proposto la regia era una produttrice, a cui d’istinto ho risposto un “sì” che avrei voluto rimangiarmi. Come donne pensiamo sempre che non siamo pronte, non ne sappiamo abbastanza, non siamo all’altezza. Gli uomini non si pongono neanche il problema, lo danno per scontato». Coniugare carriera e famiglia resta una sfida, anche per un’attrice, regista e produttrice instancabile come lei: «Da donne siamo ancora messe di fronte alla scelta impossibile tra carriera e famiglia, costrette a rallentare per portare avanti il continuo lavoro di madri, caregiver e donne in carriera. Io ho trovato il mio modo portandomi dietro mio figlio (Santiago, avuto dal produttore messicano José Antonio Baston, Ndr.) sui vari set anche mentre allattavo». Nessuno hai mai avuto da ridire, né è stata mai vittima di discriminazioni: «Ho incontrato il sessismo sul lavoro più a livello di troupe, tra direttori della fotografia e produttori con forti pregiudizi sulle donne, pronti a sindacare tutto ciò che facessi».

 

La sua reazione? «Sono diventata più grintosa, imparando che devi essere forte per difendere le tue idee. Capita a tutte le donne, dobbiamo essere due volte più determinate, preparate e capaci degli uomini. Essere brave non basta, ci è richiesto di dimostrare di valere sempre di più».

 

C’è un modo di uscire da questo circolo vizioso generato dall’ansia di prestazione? Longoria ha già la risposta pronta: «Per gli uomini si tratta di assumere più donne possibili, per le donne di tenere aperta la porta da cui si è entrate per tutte quelle che verranno dopo di noi. Basta parole, urgono i fatti: da produttrice e regista mi impegno personalmente a lavorare con attrici, operatrici, costumiste, montatrici, coordinatrici di stunt donne. C’è spazio per tutte e le cose iniziano finalmente a cambiare. Parlo con colleghe come Salma Hayek, Reese Whiterspoon e Natalie Portman, condividiamo opinioni ed esperienze, a Hollywood siamo riuscite a creare finalmente una comunità forte, anche se il potere è in gran parte in mano agli uomini. Anche perché a loro non è richiesta la performance che è richiesta a noi donne: quanti uomini hanno fallito e avuto comunque l’opportunità di riprovare? Quanti registi hanno sbagliato film eppure hanno finito col firmare addirittura una saga cinematografica? Le donne devono avere la stessa possibilità e la stessa indulgenza, ma prima bisogna fare in maniera che sempre più produttori coinvolgano intenzionalmente le donne, garantendo lo stesso stipendio dei loro colleghi. Lo stesso dovrebbe accadere fuori dal sistema cinema, a livello di amministrazioni cittadine, di giornalismo, di medicina, di politica soprattutto».

 

Già, la politica. Longoria ha sostenuto il nuovo presidente Joe Biden, come fece per Barack Obama, senza mai evitare di dire la sua tra un tappeto rosso e l’altro, tenendo alta la causa dei diritti delle donne: «Non mi sono mai fermata di fronte all’ingiustizia, non ho mai messo in dubbio il mio impegno di attivista. È più forte di me, tanti attori dicono di non aver tempo per queste cose, io vengo da una famiglia di filantropi, sono stata cresciuta pensando agli altri e fa parte del mio Dna dare sostegno alla mia comunità. Attrice e regista è quello che faccio, non quella che sono».

 

Chi è, allora, Eva Longoria? «Sono anzi tutto una mamma, una figlia, una sorella e un membro della mia comunità: il destino delle altre donne mi sta a cuore, non posso disinteressarmene». La sua paura più grande? «Che non si faccia nulla per migliorare le cose». Per questo si sta mobilitando, assieme ad altri esponenti della cultura americana e non solo, a seguito della sentenza della Corte Suprema sull’aborto: «Quello che sta succedendo nel mio Paese è gravissimo, ci sta portando indietro anziché avanti. Biden dovrà disfare tutto ciò che ha fatto la precedente amministrazione, quella di Trump. Sarebbe spettato a Obama nominare nuovi giudici alla Corte Suprema, ma le nomine sono state bloccate dal Senato ed è intervenuto Trump per strutturare una Corte in cui prevalgono i conservatori».

 

Non solo, aggiunge agguerrita, i giudici durante le udienze in Senato «hanno garantito che non avrebbero toccato la sentenza sull’aborto, una promessa che non solo non hanno mantenuto, l’hanno proprio ribaltata». Scatta spontanea una protesta di massa, a cui lei intende dare voce: «Nel nostro Paese noi donne porteremo avanti tantissime azioni per dimostrare al mondo chi siamo, cosa facciamo e quanto valiamo. Non ce ne staremo zitte, né ferme, ma continueremo a combattere per i nostri diritti, che non sono solo “diritti delle donne”, ma diritti umani». Ci tiene a sottolineare come non si tratti affatto di un problema solo americano: «Sta accadendo in tutto il mondo, il patriarcato è vivo, vegeto e forte ovunque. Il mondo ha bisogno di una visione femminile, di equilibrio, parità e rispetto, c’è molto lavoro da fare per un cambiamento che è ora più che mai necessario per tutte e tutti».

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