Cultura
26 settembre, 2025Dal 20 settembre al 18 ottobre il festival celebra l’incontro tra il grande compositore italiano e il Bardo inglese. Nuovi allestimenti evidenziano la psicologia dei personaggi e la stretta affinità tra musica e parola
La casa natale di Roncole, la villa di Sant’Agata e poi il teatro di Busseto, dove nel 1828 per la prima volta fu eseguita in pubblico una sua composizione. In questi luoghi della Bassa parmense la presenza di Giuseppe Verdi è precisa, incombente; suggerisce umanità e incanto. In città c’è il Teatro Regio di Parma, la sede principale del festival dedicato al nostro gigantesco operista. La rassegna, alla sua venticinquesima edizione, quest’anno si svolge dal 20 settembre al 18 ottobre e si intitola “Verdi e Shakespeare”. Oltre a tante iniziative collaterali sono in cartellone le tre opere che Verdi trasse dagli scritti del geniale drammaturgo: “Otello”, “Falstaff” e “Macbeth”.
Nella sua biblioteca Verdi possedeva Shakespeare nelle traduzioni italiane. Per anni aveva progettato di comporre un’opera da “Re Lear”, ma l’idea non si realizzò. Con “Macbeth” Verdi abbordò Shakespeare, i due creatori distanti secoli si incontrarono per la prima volta. «Un incontro che genera fuochi d’artificio», lo definisce Manuel Renga, regista del nuovo allestimento in scena dal 27 settembre: «La musica si fa parola e la parola entra perfettamente nella musica». Per Francesco Lanzillotta, direttore d’orchestra di questa produzione, «non bisogna dimenticare che un testo come quello ti può schiacciare. A Verdi questo non è successo, anzi se possibile lo ha elevato ancora di più».
Macbeth, generale di Scozia, istigato dalla sua Lady e dopo la visione di tre streghe, si macchia di continui delitti per conquistare il trono. «Macbeth cammina sui morti», commenta Renga: «Il tema della guerra c’è sempre nell’opera, che comincia con Macbeth e Banco che hanno vinto una battaglia e devono portare la notizia al re. Ci sono poi tanti omicidi, la battaglia finale: nulla potrebbe essere più contemporaneo. Lo stesso Shakespeare non colloca esattamente nel tempo la sua tragedia, è come se quella guerra potesse essere di qualsiasi epoca».
Macbeth, la Lady e le streghe sono i tre personaggi cardine dell’opera. «Il binomio da cui sono partito è quello uomo-natura», continua Renga: «È una natura osservatrice, non malvagia. Ne fanno parte le streghe, le apparizioni, gli spiriti. È un’opera molto psicologica: siamo nella mente di Macbeth, manipolata dalla Lady, una donna che però non vedo come la causa del male. Mi piace pensare che lei sia una catalizzatrice, una miccia che viene innescata e che Macbeth non sa gestire».
A Parma verrà eseguita la prima versione di “Macbeth”, quella del 1847, che Verdi poi modificò per la rappresentazione a Parigi del 1865. «In una lettera ai cantanti che eseguirono il primo “Macbeth” Verdi scriveva che bisogna dar seguito sopratutto al poeta piuttosto che al maestro», sottolinea Lanzillotta: «Erano indicazioni che dimostrano la ricerca di una strada nuova, per un teatro musicale di canto e attorialità. Segnano l’evoluzione del cantante, che deve essere anche un grande interprete, che capisce esattamente cosa si sta cantando e a chi lo si sta cantando».
Verdi tornò a Shakespeare con “Otello”, l’opera alla quale lavorò più lungamente: aveva cominciato a pensarci nel 1880 e il debutto fu sette anni dopo. Verdi settantatreenne indicava una nuova via all’opera italiana, sopprimendo arie e romanze.
Roberto Abbado, direttore d’orchestra del nuovo allestimento che il 26 settembre inaugura le rappresentazioni ufficiali del festival sostiene che «“Otello” è il culmine della straordinaria affinità fra i due artisti, a partire dal modello di teatro molto legato alla realtà della vita. Questo ha molto influenzato Verdi, anche in opere che non sono tratte da Shakespeare».
Federico Tiezzi anticipa che la sua regia riporta direttamente al teatro shakespeariano: «Come nel teatro elisabettiano ho ridotto al minimo gli oggetti di scena. Contano la recitazione e il testo». Spiega Tiezzi: «Noi guardiamo tutto quello che avviene come dagli occhi del protagonista. Il plot è alla Hitchcock: sappiano che Desdemona non ha tradito Otello e vogliamo vedere come Iago lo manipola e come Iago va a finire. Vedere anche come Otello passa lentamente nella follia. È un caso clinico nel senso freudiano: esiste una sindrome di Otello che consiste nel sacrificare ciò di cui si teme la perdita. Su questo imposto tutto lo spettacolo». Insomma, Iago che instilla nel protagonista il sospetto del tradimento è un malvagio assoluto. «Sì, un malvagio metafisico», prosegue Tiezzi. E il rapporto fra il furioso protagonista e l’incolpevole sposa Desdemona? Oggi si direbbe che è la storia di un femminicidio per gelosia, seguito da un suicidio. «Femminicidio è la parola giusta. Desdemona si innamora di Otello non per l’uomo, ma per l’eroe che vede nello schermo della sua mente. Lui però è un violento. L’opera si apre con una tempesta che sconvolge Cipro e si chiude con una violenza spaventosa. Anche la manipolazione da parte di Iago è una violenza. La violenza insita nell’essere umano». Per Abbado «“Otello” lascia uno dei più nobili testamenti dello spirito umano. Non bisogna soffermarsi sulla storia e sulla personalità dei ruoli, ma andare oltre. Ogni volta che l’ho ascoltato dalla parte del pubblico mi ha lasciato un senso di grandiosità. Come se l’animo alla fine si sentisse appagato».
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