Cultura
4 ottobre, 2025Il 70% dei giovani nel Paese rifiuta la prospettiva di uno Stato palestinese accanto a quello ebraico. Un dialogo che per sondare il declino della parola “pace” e l’ascesa di una politica che divide Israele in due
Per anni “pace” è stata la parola d’ordine della politica israeliana. Era nei comizi, nelle trattative, nei talk show. Oggi è sparita. A dirlo è Cecilia Sala, giornalista e inviata, che dal palco del Marzamemi Book Fest (Pachino, provincia di Siracusa) ha tracciato un ritratto forte di una società sempre più radicalizzata.
Secondo i dati che Cecilia Sala cita, il 70% dei giovani israeliani è contrario alla soluzione dei due Stati. Non si tratta solo di un cambio d’opinione: è la spia di un mutamento profondo. La prospettiva di uno Stato palestinese indipendente, un tempo cardine delle diplomazie internazionali, non è più percepita come possibile né desiderabile da larga parte della nuova generazione israeliana.
La radicalizzazione affonda le sue radici nei territori. Sala ricorda Kiryat Arba, insediamento accanto a Hebron, epicentro del kahanismo. Quella cultura politica, marginale negli anni Ottanta, è arrivata oggi fino al governo.
La frattura non è solo tra israeliani e palestinesi, ma dentro Israele stesso. Sala parla di “due Israele”: quello istituzionale, legato agli apparati di sicurezza e alla tradizione laica, e quello plasmato dai coloni radicali e dai loro partiti. Una divisione che si riflette perfino nell’esercito e che rende il conflitto ancora più difficile da comporre.
L’immagine che ne esce è netta: una generazione che non sogna più la pace, ma cresce nell’idea che due Stati siano un’illusione. E un Paese che rischia di convivere, per anni, con il conflitto come normalità.
A cura del Marzamemi Book Fest/Santina Giannone
Foto di Marcello Bianca
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