Cultura
22 novembre, 2025Aperto fino al 25 novembre, il MUPA di ActionAid trasforma convenzioni, ruoli e stereotipi in reperti espositivi. Una narrazione all’imperfetto per invitare a immaginare un futuro oltre le strutture che ancora regolano il presente
E se domani il patriarcato non esistesse più e fosse solo un brutto ricordo? È da questa domanda che nasce il Museo del Patriarcato (MUPA), un’esposizione che mette in scena il 2025 come se fosse un’epoca lontana. La mostra, inaugurata il 20 novembre, è un’iniziativa dell’organizzazione ActionAid e resterà aperta a Roma fino al 25 novembre, con una pausa prevista sabato 22 per scendere in piazza al fianco di Non Una di Meno e sostenere la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne.

Oltre all’esposizione, il programma propone talk, workshop, laboratori e performance dal vivo, in collaborazione con centri antiviolenza, reti e realtà femministe di tutta Italia. «Il MUPA ci spinge a interrogarci sul ruolo che giochiamo nel mantenere, trasformare o sfidare le strutture di potere che ci circondano. Guardare il presente come se fosse già passato diventa così un gesto politico e poetico insieme», si legge sul sito di ActionAid. Non a caso, i verbi delle descrizioni appese ai muri dello spazio espositivo sono coniugati all’imperfetto, come se si stesse parlando di un periodo molto lontano: «Il patriarcato era un sistema di organizzazione sociale e un modello di potere di stampo sessista, fondato sulla discriminazione e sull’oppressione delle soggettività marginalizzate. In questo assetto, le posizioni di autorità e di influenza erano prevalentemente occupate da uomini che incarnavano il modello dominante: bianchi, normodotati, neurotipici, eterosessuali, cisgender, cioè persone la cui identità di genere, il corpo e il genere assegnato alla nascita coincidevano», recita uno dei panelli.

«Dobbiamo riuscire ad archiviare le pratiche di disuguaglianza tra uomini e donne. Oggi è importante sia avere uno sguardo positivo e pensare che tra qualche anno non esisterà più la disparità di genere, sia acquisire consapevolezza di ciò che accade ora. Dobbiamo capire che le problematiche che ogni giorno alimentano queste differenze, alla lunga, portano anche alle manifestazioni peggiori, come violenza e femminicidi», dice Katia Scannavini, co-segretaria generale di ActionAid Italia.

Buste paga di colori diversi per uomini e donne, ante segnate da pugni, specchi che restituiscono frasi di mansplaining: attraverso reperti e testimonianze, la mostra invita i visitatori a osservare con sguardo critico i comportamenti, le abitudini e le narrazioni che ancora oggi alimentano la violenza maschile sulle donne. Le installazioni presenti hanno lo scopo di trasmettere un messaggio potente: la società patriarcale vive e si nutre delle piccole cose quotidiane. Parte dal basso, si insinua nelle vite di ognuno di noi e arriva in alto, tra le posizioni di potere. Tra i luoghi in cui si decide chi ha il diritto di esistere in modo dignitoso nella società e chi, invece, no.

Tra le opere spiccano “La mamma tramonta” - un cartellone che raccoglie disegni di bambini e pagine di libri scolastici contenenti rappresentazioni stereotipate della famiglia - e “Un gioco da ragazze”, una nicchia divisa in due aree, una blu e l’altra rosa, dove sono esposti giocattoli diversi a seconda del genere al quale vengono tradizionalmente associati. O ancora “Femminuccia” - uno stencil sul muro rappresentante un bambino che indossa dei pantaloni rosa mentre viene accerchiato da altri due (ispirato alla storia vera di Andrea Spezzacatena, che si tolse la vita a 15 anni nel 2012 a causa del bullismo) - e “Ruoli” - un diorama con dei manichini che rappresentano uno spaccato della vita di un nucleo familiare nel proprio ambiente domestico: la madre, sopraffatta tra faccende, prole e carico lavorativo, mentre il padre è seduto in poltrona con delle bottiglie di birra sul tavolino.

«Questa mostra poggia la sua forza anche su studi, ricerche e attività operative che ActionAid porta avanti da sempre. In particolare, quest’anno abbiamo realizzato una ricerca insieme all’Osservatorio di Pavia che purtroppo ci racconta ancora una realtà preoccupante. Ad esempio: un uomo su tre giustifica la violenza economica contro le donne, uno su quattro quella verbale e quella psicologica, e quasi due uomini su dieci giustificano la violenza fisica. Questo ci dice che siamo ancora lontani dall’obiettivo finale. Inaugurare un museo del genere dovrebbe spronarci a investire ancora di più sulla prevenzione primaria. Noi chiediamo al governo e al parlamento di destinare almeno il 40% delle risorse del piano antiviolenza proprio a questo, e di farlo adottando uno schema strategico operativo ad hoc, capace di garantire che tutte le politiche pubbliche messe in atto adottino una visione e una prospettiva di genere: dalla sanità alla scuola, dai trasporti fino al mondo digitale», conclude Scannavini.

LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Bella, ciao - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 21 novembre, è disponibile in edicola e in app



