Cultura
11 dicembre, 2025È morta l'autrice bestseller della commedia romantica "I love shopping", pioniera di un genere sempre più amato
La morte di Sophie Kinsella - nata Madeleine Sophie Wickham - incrina la superficie di quel territorio narrativo che per anni è stato frettolosamente rubricato come “leggero”. Ma la leggerezza, quando è autentica, non è un vezzo: è un’arte.
L’autrice inglese ne aveva compreso il paradosso intimo e cioè che il lieve, per funzionare, deve poggiare su una struttura solida e su una geometria segreta. Quando nel 2000 pubblicò The Secret Dreamworld of a Shopaholic (da noi uscì per Mondadori con il titolo I love Shopping), ci si affrettò a circoscriverla nella categoria della chick-lit, un’etichetta nata con l’intenzione di rendere inoffensivi romanzi che invece possedevano un loro acume strutturale.
Eppure il libro, uscito tre anni prima de Il diavolo veste Prada di Lauren Weisberger (2003), non era un capriccio rosa, ma una piccola macchina narrativa calibrata sul mondo nuovo che stava emergendo, su un femminile che osservava la modernità non più dal bordo, ma dal suo interno rumoroso e contraddittorio.
Becky Bloomwood – la protagonista di quella che è poi diventata una vera e propria serie (I love Shopping a New York, con mia sorella, per il baby,in bianco etc.), era la maschera comica attraverso cui leggere un tempo, una figura a metà tra Goldoni e la sociologia dei consumi, caricaturale quanto basta per essere universale.
Nelle sue fughe davanti ai debiti e nelle sue capitolazioni davanti alle vetrine, si rifletteva l’ansia di un’intera generazione che cercava identità in ciò che acquistava. Kinsella lo raccontava con un’ironia priva di crudeltà, un’ironia che smascherava, ma non puniva. Le oltre cinquanta milioni di copie vendute non sono allora un fenomeno commerciale, ma la conferma di una sintassi narrativa che parlava ai nervi scoperti dell’epoca.
Ho un ricordo vivido dell’incontro con lei in un hotel milanese, durante una mattina filtrata da una luce quasi teatrale. Non sapeva ancora della malattia - diagnosticata nel 2022, resa pubblica solo nel 2024 - e la sua presenza aveva quella naturale joie de vivre che non si impara. Era il tipo di persona che sembra avere una conversazione parallela con l’aria, un’intelligenza pronta, un sorriso che arrivava prima delle parole, la grazia di chi considera la scrittura non un ruolo, ma un’estensione del proprio temperamento. Scriveva di moda, ma non solo. Non aveva nulla di modaiolo se non una hit bag di Prada, dimostrando che dietro la levità, c’era un rigore tecnico. Era precisa come un meccanico della comicità, calibrava ritmo, accumulo e detonazione narrativa con una disciplina da professionista del mestiere, non da autrice “di genere”.
Alleggeriva per chiarire e giocava per rivelare. Con la sua scomparsa non perdiamo soltanto un marchio editoriale di enorme fortuna, ma una scrittrice che ha restituito complessità a un territorio narrativo liquidato come minore solo da chi scambia la pesantezza per profondità. Kinsella praticava la leggerezza come forma di conoscenza, una maniera calviniana di toccare il reale con mano lieve per coglierne l’essenziale.
Nei suoi libri - così rapidi da sembrare semplici - affiorava un’idea quasi illuministica del romanzo come conversazione morale, come un luogo in cui l’ironia, se ben amministrata, corregge gli eccessi del mondo senza pretendere di redimerlo. In un’epoca come questa incline alla declamazione, la sua misura appare retrospettivamente sovversiva e il comico, nella sua scrittura, era uno strumento conoscitivo, non un’evasione. Si potrà discutere dell’ambiguità dell’etichetta “chick-lit”, ma le sue storie sopravvivono alle categorie e mostrano che il quotidiano – con i desideri, le goffaggini e le micro-cadute - può diventare una lente attraverso cui leggere il mutamento sociale. La sua opera – cui si aggiungono diversi libri pubblicati poi con il suo vero nome - non reclama difese postume, ma si regge da sola, come si reggono le costruzioni ben progettate: invisibile nella sua architettura ed impeccabile nel suo funzionamento.
Se il genere in cui è stata collocata è stato considerato “letteratura da pollastre” (questo vuol dire chick-lit), lo stile con cui lo ha abitato era invece aristocratico: una nobiltà non di postura, ma di esecuzione. Per questo, ora che se ne va, la sua assenza si dilata oltre le categorie in cui era stata compressa e rimane come restano le opere davvero riuscite, come un monumento alla grazia narrativa in tempi che troppo spesso se ne dimenticano.
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