Cultura
23 dicembre, 2025Segreti, drammi e personaggi “così malvagi da non vedere spazio per il bene”. Parla l’autrice de “Il dio dei boschi”,il romanzo più venduto tra gli editori indipendenti
Newyorkese, Liz Moore è rapidamente diventata una delle autrici americane più apprezzate al mondo. Il peso è il romanzo che l’ha lanciata sul palco della letteratura contemporanea ma il successo è arrivato con “I cieli di Philadelphia” e “Il dio dei boschi”. Entrambi pubblicati in Italia da NN, entrambi bestseller, entrambi nella lista di Obama dei migliori romanzi di questi anni. Thriller capaci di mescolare drammi personali profondi a critiche lucide alla società americana contemporanea.
Liz Moore, i suoi libri ruotano sempre attorno a un mistero, spesso a una scomparsa.
«Da un punto di vista autoriale mi affascinano. Personalmente no. Il mistero è un ottimo strumento narrativo, un buon pretesto per una buona storia. E non lo dico solo da autrice, ma anche da lettrice. Quando ho cominciato a leggere, da bambina, mi sono avvicinata alla lettura con delle storie del mistero, crescendo i misteri sono stati sostituiti da problemi: ciò che mi interessa, sia scrivere sia leggere, sono personaggi che devono superare delle sfide, personali o no».
Lei racconta anche personaggi malvagi. Pure questo uno strumento narrativo?
«Sì, ma, a differenza del mistero, è qualcosa su cui mi trovo spesso a riflettere. Chi non l’ha fatto? Chi non si è interrogato sulle radici del male?».
È arrivata a delle risposte?
«Risposte a domande simili non possono che essere parziali. Più tempo passa però più penso che esistano persone irrimediabilmente malvagie, e su di loro ho smesso di interrogarmi. Non parlo di gente che è parte della mia vita, ma anche di individui che operano il male su scala globale».
Perché su persone del genere ha smesso di interrogarsi?
«Non mi interessano. Non mi interessano la psicologia che li muove né i traumi che hanno subito; se ne hanno subiti. In loro, in persone così cattive, non vedo spazio per il bene e chi non è capace di contenere anche il bene dovrebbe solo essere arginato, assieme al potere che ha».
Del potere cosa ci dice?
«Ci ragiono molto, e con gli ultimi due romanzi ho provato a raccontarlo. Nelle dinamiche di potere i fili da tirare sono tanti, ma quello che mi interessa è il potere che nasce dalle differenze di classe, di genere, di razza».
A proposito, negli Stati Uniti le fasce più povere, quelle rurali, alle ultime elezioni hanno votato per un uomo molto ricco.
«Può sembrare un cortocircuito, ma credo dipenda dal fatto che Donald Trump sia bravo a far credere alle persone che a loro tiene davvero».
Pensa che la politica entri nella sua scrittura?
«Sì. Ma sono lenta e il mondo va veloce. Spesso la politica di un dato momento entra nella scrittura per poi lasciar subito posto a qualcosa di nuovo. Ciò che trovo interessante, è come il libro si inserisca nel periodo. “Il dio dei boschi”, ad esempio, l’ho scritto quando il presidente era Biden ed è stato pubblicato quando Trump stava per essere rieletto. Mondi diversi. Quel che mi ha colpita è che il romanzo ha venduto tanto e spesso mi sono chiesta se le cose fossero collegate».
Perché dovrebbero esserlo?
«“Il dio dei boschi” racconta di un gruppo di persone molto ricche che, con spregiudicatezza, decide la vita di persone meno potenti. Il parallelismo c’è».
Qual è la situazione nel suo Paese?
«Gli Stati Uniti stanno diventando una plutocrazia. La situazione è pericolosa. Sono preoccupata. Per il nostro futuro, i nostri figli».
A proposito di figli, una volta ha affermato che da piccola se un bambino era dispettoso con lei, lei subito andava da sua madre che però le chiedeva: “Come sta questo bambino?, come vanno le cose a casa sua?”
«All’epoca lo trovavo frustrante, volevo solo che mi mostrasse compassione, desse ragione a me e torto all’altro. Ma lei cercava di capire se alla base del suo comportamento ci fosse un disagio. Oggi le sono grata: è stato un allenamento all’empatia. E lo faccio sempre con i miei figli».
Dal legame delle sorelle de “I cieli di Philadelphia” viene fuori l’idea della famiglia come peso.
«So che la famiglia è un tema importante in Italia, ma negli Stati Uniti no. Voi provate un forte senso di responsabilità che si mischia a un grande desiderio d’indipendenza, una tensione che racconto ne “I cieli di Philadelphia”. In America la situazione è diversa: si dà un valore maggiore all’indipendenza del singolo».
Lei ha una sorella più piccola di sette anni.
«Mi sono sempre sentita più come un genitore per lei, la differenza d’età è così tanta che da ragazza me ne occupavo io, mi prendevo cura di lei».
Prendersi cura di qualcuno nei suoi romanza è un tema.
«Mi identifico molto come una persona che si prende cura degli altri. Mi piace farlo, mi viene facile. Ed è qualcosa che nei miei libri si sente: c’è sempre qualcuno che deve prendersi cura di qualcun altro, in effetti».
Non sente mai il desiderio di qualcuno che si prenda cura di lei?
«Ogni tanto sento il bisogno di potermi occupare solo di me stessa e lasciare che siano altri a pensare a me. Immagino di finire in ospedale per una cosa piccola e doverci stare per una settimana. Potrei leggere, guardare film, e non dovrei pensare a cucinare e prendere i figli a scuola. È una fantasia strana, però così è».

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