Cultura
30 dicembre, 2025Un ingegnere perde il lavoro. E perde tutto. Il film di Park Chan-wook è una black comedy con thriller sociale incorporato. Da non perdere
Aspettando il sorprendente “Silent Friend” della ungherese Ildiko Enyedi, un secolo di Storia e di storie intrecciato alla vita (non così) segreta delle piante, ecco un altro bellissimo film in cui il mondo vegetale ha un ruolo importante anche se più defilato. Anzi, tenuto a lungo sottotraccia dal coreano Park Chan-wook (“Old Boy”, “Decision to Leave”), maestro dell’imprevisto e del salto di tono.
Che qui riprende un giallo di Donald E. Westlake, già adattato nel 2005 da Costa-Gavras, iniettando note patetiche e sentimentali ma sempre astutamente dissonanti e spesso esilaranti nella sofisticata partitura visiva di questa black comedy con thriller sociale incorporato, ignorata a Venezia ma ora nella shortlist dell’Oscar al miglior film straniero (esistesse anche una statuetta per i più bei titoli di coda, sarebbe già sua).
Cosa succede se un uomo che apparentemente ha tutto, qui un premiato ingegnere cartario, perde il posto? Semplice: perde pure tutto il resto. La dignità, la speranza, l’amore della moglie e anche l’amor proprio. Per non parlare della loro bella villa e di quei due bei golden retriever che allietano i figli, maschio e femmina. Per riavere il posto dai nuovi padroni americani, il mansueto Man-Su ha una sola scelta: eliminare i concorrenti. Fisicamente. Segue carosello di attentati lungamente pianificati ma irti di goffaggini, capovolgimenti di ruolo e di prospettiva, coincidenze e complicazioni di ogni sorta, anche sentimentali (le scene con la moglie di uno dei rivali, attrice frustrata, sono un gioiello a parte).
Perché in quei rivali ossessionati dal lavoro (e dal reddito) Man-Su rivede se stesso. Intanto però pure moglie e primogenito svelano i loro lati oscuri. Anche se sarà proprio questo a tenere unita la famiglia. In una giostra di immoralismi assortiti, e di virtuosismi visivi (Park Chan-wook è un maniaco del controllo e dello storyboard), che ironicamente ha spesso per teatro boschi incantevoli o giardini curatissimi, mentre per saldare i conti con la Storia appaiono vecchie pistole usate in Vietnam. Fino a quel grande epilogo techno-vege-horror che ci ricorda il prezzo non solo economico della carta a cui affidiamo emozioni, commerci, relazioni, segreti. Uno dei film più divertenti e insieme inquietanti della stagione. Animato da un cast magnifico (che attori in Corea!) e da un acuto sentimento del presente che pulsa dietro il cinismo dei protagonisti. Dalla giusta altezza, anche un vaso di fiori è uno strumento di morte. Ma basta una bambina che ripassa Bach al violoncello per ricordarci che forse non tutto è perduto.
A
AZIONE! E STOP
C’era una volta il cinema, inteso come sala: tempio, specchio, laboratorio, lettino dello psicanalista, luogo di incontri, sogni, scoperte, avventure, libertà. Ce lo ricorda Arnaud Desplechin nell’ibrido, autobiografico, contagioso “FilmLovers!”. Da vedere. Anche perché al cinema ricchezza non vuol dire solo quattrini.
Zalone again, ma stavolta il film non funziona. Sarà la destra al governo, la crisi climatica, il cambio di produttore, la scelta usurata del protagonista ricco e cafone, stavolta il grande comico gira a vuoto. E se incassa lo stesso buon per lui, ma è mai possibile che in Italia il botteghino sia l’unico argomento del dibattito? Che tristezza.
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