Come una lussureggiante wunderkammer, una stanza delle meraviglie con vista sul mare, Napoli sforna idee e immagini in cui si specchia come un Narciso fragile e precario. Più di ogni altra città italiana, oggi la città partenopea nutre nei suoi confini e attira da fuori registi e musicisti, attori e scrittori, uomini e donne che alimentano il mito, celebrano i protagonisti di oggi e soprattutto di ieri. Tra gli appunti sparsi spunta “Turnà”, singolo di “Liberato III”, nuovo album di Liberato, cover della canzone “Voglia ‘e turnà” (1982) di Teresa De Sio, ma il gioco contagia anche chi a Napoli non abita più da tempo, come Paolo Sorrentino con i suoi ultimi due film: “Parthenope” (2024) e “È stata la mano di Dio” (2021). Atti di fede già dal titolo.
A volte gli artisti creano una nuova lingua, come il controverso “newpolitano” di Geolier e Rocco Hunt, avanguardia di una fitta schiera di rapper e trapper. Non si sono ancora spente le polemiche intorno alla performance sanremese del rapper Emanuele Palumbo (Geolier), che l’anno scorso con la sua canzone “I p’ me, tu p’te” fece infuriare intellettuali e social mai così uniti, che già ci si prepara alla prossima querelle: stavolta a Sanremo i big campani cantano la loro città e omaggiano Pino Daniele nel suo 70esimo anniversario, a dieci anni dalla scomparsa. Nella serata dedicata alle cover, il 14 febbraio, Rocco Hunt, insieme a Clementino, si esibirà con “Yes I know my way” (1981), un classico del cantautore, mentre Massimo Ranieri, accompagnato dai Neri per caso, ha scelto “Quando” (1991), colonna sonora del film di Massimo Troisi “Pensavo fosse amore...invece era un calesse”.
«Anche quello di Pino Daniele è diventato napoletano classico, ma quando cantava veniva considerato sgrammaticato rispetto alla vulgata di Eduardo», ragiona Viola Ardone, napoletana di nascita, autrice de “Il treno dei bambini” (Einaudi) e altri romanzi di successo. «Raccontare Napoli significa fare lo slalom tra tutto quello che è stato già detto, che appena detto diventa stereotipo», aggiunge. Nel 2024, sulla scia della polemica intorno a Geolier, criticato da molti napoletani per l’uso della lingua, la scrittrice, che insegna Italiano e Latino in un liceo scientifico di Giugliano, paesone dell’hinterland, ha portato in classe la questione. «Ho chiesto ai miei alunni: “Ragazzi, ma questo secondo voi è napoletano?”. E genialmente un mio alunno ha risposto: “Professoressa, questo è napoletano “chattato”, non è napoletano scritto o parlato», racconta Ardone: «Il napoletano “chattato” è un’evoluzione della lingua, sporcata, della lingua classica della canzone napoletana. È lingua viva, che si parla oggi. Il nuovo non deve fare paura altrimenti il mito non si rinnova».
A Napoli invece il mito si rinnova senza sosta. Un’autocelebrazione che macina successi e li consegna al mondo: così, dopo il libro di Pier Luigi Razzano “A Napoli con Pino Daniele” (Giulio Perrone editore) e i documentari dedicati al grande cantautore – se ne contano almeno tre, tra cui “Nero a metà” di Marco Spagnoli – ora Nello Daniele, il fratello, sta organizzando un evento straordinario il 19 marzo in piazza del Gesù, nel giorno del compleanno dell’autore della canzone “Terra mia”: sul palco Clementino, Tullio De Piscopo, Irene Grandi, Raiz, 99 Posse, Mario Biondi e altri artisti. Nel frattempo la città si inchina di nuovo ai suoi miti: sta per inaugurare Casa Museo Murolo, in via Cimarosa 25 al Vomero, dove scoprire il mondo dello chansonnier Roberto Murolo.
Una macchina del tempo in cui passato e presente convivono mentre tutto si confonde e si compenetra. A cominciare dagli edifici in tufo. A cento anni dalla prima pubblicazione degli scritti di Walter Benjamin e Asja Lacis sulle pagine del Frankfurter Zeitung, oggi il concetto di “Napli porosa” è ancora valido. «È una città di compresenze, i passaggi che collegano passato e presente sono porosi», ragiona Marino Niola, antropologo e docente all’università Suor Orsola Benincasa, grande esperto della città partenopea e dei suoi miti. Uno dei capitoli del suo ultimo libro, “L’Italia dei miracoli” (Raffaello Cortina editore), è dedicato al culto di San Gennaro. «Il “vero Dio di Napoli”, come ha scritto Alexandre Dumas. È la fortuna di Napoli anche nel Grand Tour: a Firenze e Roma i viaggiatori vanno a scoprire i monumenti, a Napoli l’archeologia vivente. Questo grande teatro, cosmorama alla Garcia Marquez dove il passato si incrocia con il presente e i morti con i vivi, è una delle ragioni del suo fascino».
La presenza soverchia della tradizione, tuttavia, può trasformarsi anche in ossessione. «Pino Daniele non ne poteva più di essere celebrato in ogni istante. Come Maradona, che non era nato a Napoli ma qui era rinato. Questa è una città femminile e materna, nel bene e nel male. Come una madre è soffocante: a Napoli esiste un ministero della natura contro la ragione, dice Anna Maria Ortese. E la natura è una madre che tutte le volte che i figli si allontanano si strugge nella tenebra e li richiama. Non li risparmia neanche da morti: per Pino Daniele hanno dovuto celebrare due funerali e per Totò ne organizzarono tre», continua Niola. Invece Viola Ardone riflette su un aspetto meno evidente: Napoli estroversa e cupa al tempo stesso. «La voglia di festa, il canto, la tarantella sono l’altra faccia di una città ctonia, sotterranea, difficile da raccontare, con qualche eccezione. Mario Martone ha indagato a fondo questo lato oscuro nel film “Nostalgia”». La Napoli degli scugnizzi con le pistole, che a volte uccidono per un paio di scarpe sporcate.
Un mondo liquido, fatto di immagini, suoni, parole. Un mare conosciuto per Ruggero Cappuccio, scrittore, drammaturgo e regista di cinema e teatro, direttore del Campania Teatro Festival. Per lui la lingua è un tema fondamentale. Non a caso la Fondazione Campania dei Festival organizza “Incontri sul dialetto”, progetto curato dal Comitato scientifico per la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano. Tra i nomi coinvolti per la seconda edizione Mario Martone, Antonella Cilento e Antonio Franchini. Rivolgiamo a lui l’annosa questione: ma il napoletano è una lingua o un dialetto? «Questo dilemma è un esercizio da Accademia della Crusca. Non ha senso questa domanda se una lingua elegge come luogo preferito il palcoscenico», comincia Cappuccio, che per spiegare la centralità del teatro nell’invenzione della lingua arretra nel tempo. «A Napoli tra Ottocento e Novecento non c’è stato un romanziere di levatura europea. In Sicilia, invece, sì: Verga, De Roberto, Brancati, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, a Napoli abbiamo dovuto aspettare gli anni Cinquanta per avere romanzieri come Raffaele La Capria e Domenico Rea», prosegue il regista: «Questo vuol dire che Napoli nel corso dei secoli ha elaborato una letteratura che ha privilegiato il suono prima ancora del segno. Le parole a Napoli nascevano per essere cantate o recitate, non per essere lette. Tutta la tradizione dell’opera buffa napoletana, e tutto il lavoro svolto da Petito, Scarpetta, Eduardo, e poi Roberto De Simone, Enzo Moscato, finalizza la parola a un atto sinfonico. Se è applicata al palcoscenico allora è una lingua, tanto è vero che è la canzone napoletana a essere famosa nel mondo e non quella, che so, umbra», conclude Cappuccio.
A proposito di opera buffa, fu creata a Napoli mentre altrove impazzava il melodramma. La prova che qui i canoni si stravolgono. «Il più grande tenore del mondo, Enrico Caruso, era un anarchico e inventò un modo nuovo di cantare», dice Laura Valente, musicologa e curatrice del Museo Caruso a Palazzo Reale. Valente è anche direttrice artistica di Napoli 2500, il progetto del Comune di Napoli che racchiude tutte le iniziative per celebrare la storia millenaria della città. Spicca il “Napoli fringe fest”, tra l’estate e dicembre, secondo un modello che si ispira allo storico festival di Edimburgo. Spettacoli di teatro, danza, musica, arte circense, letteratura. «Abbiamo scelto la libertà della formula fringe: idee originali, luoghi pubblici o non convenzionali, giovani creativi e professionisti affermati. Con un approccio democratico all’arte». Napoli è pronta a indossare il vestito buono e festeggiare il compleanno tondo. Davanti allo specchio.