Cultura
10 aprile, 2025

Questa casa è una comunità

Cineforum, mostre, scrittura. A Villa Restelli, vicino a Milano, si condividono spazi e valori
Cineforum, mostre, scrittura. A Villa Restelli, vicino a Milano, si condividono spazi e valori

Per vincere la solitudine. Per uscire dall’individualismo e condividere esperienze culturali. Una scrittrice racconta un fenomeno in crescita: famiglie che vivono insieme

«Abbiamo il pollaio più bello che c’è», dice Giovanni. E in effetti un pollaio a cui si accede da un cancello in ferro battuto, dove una gallina dalle zampe piumate si aggira tra gli arbusti davanti a una statua ricoperta dal muschio, appare davvero come una rarità. A 40 chilometri a nord di Milano, lungo l’Olona e all’ombra di grandi cedri si trova una villa del Settecento. Nel grande giardino ci sono ancora le serre dove un tempo la famiglia Restelli coltivava le violette per la prima della Scala. Il piano interrato veniva scaldato a legna per far fiorire in anticipo le piante. A un passo dalla porta d’ingresso: un dondolo, vecchie strutture per carrozze, materiale accatastato; un’incuria allegra di oggetti che non c’entrano nulla l’uno con l’altro. Perché questa casa non è più la villa d’un tempo, ma una comunità di giovani, anche se il termine è forse improprio. Comunità e non comune, dice Giovanni: persone che hanno deciso di vivere insieme secondo dei valori condivisi, primo tra tutti la presa di distanza dall’individualismo contemporaneo e dalla solitudine imposta dalla cultura metropolitana.

 

A Villa Restelli ci vivono in otto, ognuno con la sua stanza. Sono la comunità Efraim, anche se tutti li chiamano con il nome della grande casa. Il massimo di ospiti consentito è dieci, il minimo sei: perché al di sotto di quel numero non si può dire di fare comunità. I grandi saloni rimangono chiusi quasi tutto l’anno, mentre su in torretta si sale a godersi la vista che si allarga verso le montagne. Il cuore pulsante della casa è la cucina, con il suo grande camino, dove la sera ci si ritrova tutti insieme dopo una giornata di lavoro.

 

Giovanni, ventisei anni, mi racconta che questa è una “comunità temporanea” unica nel suo genere. Da statuto, si è ammessi dopo una settimana di prova e si può rimanere solo tre anni, perché Efraim è nata per consentire a più persone possibile di fare l’esperienza del vivere conviviale. Gli otto conviventi hanno tutti vent’anni o poco più. Potrebbe essere il set di un film. Che cosa ci fa un esperimento di vita condivisa in un luogo come questo?

 

Me lo racconta Giò, di dieci anni più grande rispetto al primo Giovanni: lui ora vive in un’altra comunità, ma è stato tra i fondatori di questa di Villa Restelli. Nel 2011, insieme a un gruppo di amici, voleva fare un esperimento di vita comunitaria. L’idea non nasceva per vezzo, ma da una convinzione tramandata dalla generazione precedente. Al di là del bosco, infatti, dove ci sono due corti di campagna risistemate, vivono altre due comunità di famiglie. Una è qui dal 1999, si chiama Sichem, nata dal desiderio di cinque famiglie con figli di condividere spazi e valori: Giò è il figlio più grande di quella comunità, cresciuto e nutrito nel desiderio di pensare la propria vita in relazione agli altri.

 

Giò e i suoi amici si rivolsero al proprietario di Villa Restelli, che nel racconto appare come “il signor Piero”. All’inizio Piero propose ai ragazzi un appartamento a Olgiate, che nel giro di qualche mese si rivelò troppo piccolo; quindi, con un atto di generosità, concesse di occupare la villa che era stata appena ristrutturata. La villa di vacanza dei Restelli, che in queste zone avevano un podere vivaistico, dove però lui – ingegnere civile per la Cooperazione internazionale, molto spesso all’estero – non veniva quasi mai. Non voleva vendere la villa, ma non voleva neanche che andasse in rovina: e poi aveva da sempre il desiderio di dare un senso alla sua proprietà. Alla fine degli anni Novanta, aveva già intercettato Sichem, la comunità di cinque famiglie (ora di otto) dove è cresciuto Giò e che allora cercava una collocazione, e a loro concesse in affitto una corte cascinale.

 

Il signor Piero approvava i valori che animavano Sichem: perché, allora, non replicare l’iniziativa? Villa Restelli all’epoca era disabitata da quarant’anni, dopo essere stata un avamposto della Resistenza. Era giusto che trovasse nuova vita grazie ai giovani e per un costo irrisorio, ma con l’obbligo di aprirla ogni tanto agli abitanti della zona per eventi culturali, dibattiti, rassegne di cinema all’aperto. Ora Giò vive nella terza comunità di questo parco: si chiama Pachamama, raccoglie famiglie di trentenni con figli e si dedica al tema dell’ecologia integrale. Ha lasciato Villa Restelli, ma continua ad animarne le attività con la regola che ogni tre anni si rinnovino gli occupanti e si diffonda la capacità di dare un senso conviviale all’esistenza. 

 

Giovanni, invece, ha saputo di Villa Restelli a una festa del 25 aprile. Voleva lasciare la casa dove abitava coi suoi e sperimentare una condivisione più profonda rispetto all’essere semplicemente coinquilino di qualcuno in un appartamento. Chi vive qui si dà sostegno psicologico e intellettuale, ognuno sacrifica il proprio tempo e le proprie energie per gli altri. «Molti amici condividono un appartamento con altri, ma non si rivolgono mai la parola». Milano costa troppo e offre ai giovani prospettive di vita deprimenti: è l’opinione della maggior parte di loro. 

 

Andrea, un altro ragazzo della comunità, viene da Pisa. Ha sempre vissuto in parrocchia, dove faceva l’animatore e poi il volontario per la Caritas. Voleva venire a studiare a Milano, ma era spaventato dai costi esorbitanti e dalla solitudine. Poi qualcuno gli ha parlato di Villa Restelli e ora vive qui e lavora in fiera a Milano. Al suo arrivo è rimasto folgorato dall’accoglienza di Giò, che lo ha ospitato nell’attesa che potesse entrare in comunità. «Mi conosceva da tre ore e mi ha offerto ospitalità in casa sua per dieci mesi». «Come vedi, nessuno di noi è capace di vivere con sé stesso», commenta  ironicamente Luca. Luca è di Milano, ha vissuto fin da bambino in un caseggiato dove si faceva comunità in modo spontaneo grazie all’iniziativa di alcune donne che animavano il quartiere con attività di vario tipo. Ha studiato scienze dell’educazione e ora fa l’operatore in una comunità per stranieri non accompagnati. Ha conosciuto Villa Restelli in occasione di una mostra sulle migrazioni. Luca non ripeterebbe l’esperienza, anche se è stata decisiva per imparare a vivere con gli altri, per conoscere la vera condivisione e avere attenzione per chi hai vicino. «Al di là del fatto che tu continui a vivere in comunità o meno, è una capacità che ti porterai dietro per tutta la vita».

 

Come in ogni comunità, ci sono i turni di lavoro e per le pulizie. Si cucina sempre per tutti, perché il pasto deve essere sempre condiviso: almeno la cena, perché a pranzo non c’è quasi mai nessuno, salvo nei fine settimana. Gli occupanti lavorano tutti a Milano, tranne Giovanni che a Milano studia scrittura creativa. La vita di comunità si sviluppa generalmente dalle sette di sera in poi. Il lunedì e il mercoledì, in particolare, cercano di esserci tutti quanti. Una delle due sere è di condivisione ludica, l’altra dalla primavera è dedicata alla calendarizzazione degli eventi aperti al pubblico che si terranno nei mesi caldi: presto ripartirà anche il cineforum sul prato. Durante tutto l’anno i mercoledì prevedono alcuni corsi di formazione (“spirituale”, ”filosofica”, “comunitaria” e “al mondo”) oppure i confronti in cui ognuno analizza come si vive in villa e fuori dalla villa. Perché vivere insieme non è sempre facile, anzi. La comunità dà tanto e richiede tanto: se sei giù e desideri isolarti, ti chiede di condividere il tuo sconforto, come accadrebbe in una famiglia.

 

Ogni comunità ha il suo statuto: «Ce ne sono di moltissimi tipi», racconta Giò. A Vicchio nel Mugello, non lontano da Firenze, c’è una comunità permanente. Si sono aggregati da ragazzi e sono ancora insieme oggi che hanno settant’anni: in questo caso non c’è mai stata l’intenzione di mettere un termine all’esperienza. La capostipite di tutte le comunità del Nord Italia, il punto di riferimento generale, è la comunità di Villapizzone a Milano. Fondata nel 1978 da sei famiglie e ora allargata al Mondo di Comunità e Famiglia (Mcf): un’associazione di promozione sociale nata con l’intento di avvicinare tra loro tutte le esperienze di vita ispirate proprio a quella di Villapizzone. Chi fa parte di questa comunità accetta di condividere anche tutte le proprie risorse economiche. L’esperienza di Villa Restelli invece si pone come ponte per chi abbia desiderio di provare. Se il capitalismo urbano sottrae gli spazi ai cittadini, l’emergenza abitativa qui lungo l’Olona si coniuga con il desiderio di sfuggire alle nuove forme di alienazione metropolitana.

 

«La difficoltà è conciliare il dentro con il fuori», dice Silvia, un’altra ospite di Villa Restelli. Trovare cioè un equilibrio tra un’esperienza così totalizzante e forme più libere di socializzazione. Silvia – che ha avuto un ruolo di spicco in Caritas Ambrosiana – cercava la sua indipendenza, ma non voleva vivere da sola. Quello con Villa Restelli è stato per lei un colpo di fulmine. Vivere in comunità le è sembrato naturale forse perché viene da una lunga esperienza di scoutismo. «La dimensione della condivisione quotidiana per me è importantissima, non riuscirei a pensare alla mia vita in un modo diverso. Vivere con gli altri ti spinge a lavorare sui tuoi limiti». La vita di comunità è la vita normale amplificata al massimo. Quando sei con gli altri, non puoi nasconderti. E se a un certo punto hai bisogno di spazi tuoi, finalmente sai davvero quali sono.

 

Tre comunità per tre generazioni diverse. Le esperienze come quelle di villa Restelli, Pachamama e Sichem sono gli avamposti contro la solitudine metropolitana di cui tanto si parla, sono un modello nuovo – per quanto antichissimo – di vita condivisa e suonano come un apprendistato profondo alla democrazia. Democrazia di cui dobbiamo prenderci cura, oggi più che mai. Per Giò, la conquista impagabile che porta il vivere condiviso è il liberarsi da sé stessi. «L’altro vuole invadere il tuo spazio ma poi impari che è una cosa positiva, anche se all’inizio non te ne accorgi», dice Giò: «Il punto di arrivo dell’essere umano è liberarsi della propria autonomia. Non si è soli, qui: ognuno di noi è con gli altri. La felicità spesso la raggiungi attraverso la contaminazione, quando finalmente ti dimentichi di te e dei tuoi problemi».

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