Hammurabi è atterrato a Catania. Il re babilonese “delle quattro parti del mondo” ha appassionato decine di migliaia di visitatori in una mostra nel Museo dell’università dedicata alla sua figura e alla Mesopotamia, l’odierno Iraq. La rassegna, che rimarrà aperta virtualmente, si deve al professor Nicola Laneri, docente di Archeologia del Vicino Oriente, che dirige da oltre due anni gli scavi nella periferia di Baghdad, a Tell Muhammad. Qui è stata intercettata una parte del circuito murario con una porta di accesso, risalente all’epoca di Hammurabi (1792-1750 a.C.).

Questo sovrano è stato sempre considerato il simbolo per eccellenza della civiltà babilonese perché autore di una delle più antiche raccolte di leggi. Il suo Codice, con 282 norme che stabilivano per iscritto le regole della vita associata, era esposto nei principali templi; ma l’opera riformatrice di Hammurabi riguardava pure un cambiamento nell’arte, lo sviluppo della matematica, l’ingresso della musica in ambito domestico. L’area interessata alle ricerche catanesi, in collaborazione con gli archeologi iracheni del ministero della Cultura (Sbah), è estesa per cinque ettari, che si organizzeranno in Parco. È un angolo recuperato di antichità nella Baghdad che vuole riprendere quel ruolo culturale che ha sempre vantato e si appresta a nuove aperture e restauri (con interventi italiani) del suo celebre Museo.
In Iran sono invece impegnati gli archeologi leccesi dell’ateneo del Salento, guidati dal professor Enrico Ascalone, docente di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente. Questi scavi, che vedono impegnati anche archeologi iraniani, diretti da Mansur Sajjadi, riguardano, tra alture e deserto, il sito Unesco di Shar-i Sokhta. Un luogo unico, che si intreccia alla leggenda e documenta una società a dir poco inaspettata. A Sokhta era fiorita dal IV alla fine del III millennio a.C. una città ricca e molto popolata, come dimostrano i ritrovamenti e le numerose necropoli. Scomparve improvvisamente. La causa? Un repentino cambiamento climatico - ipotesi più che probabile - che ha comportato l’esaurimento delle risorse idriche. Sabbia e concrezioni saline l’hanno poi ricoperta e si è conservata per intero come struttura ma già disabitata. Sin da quando fu portata alla luce, nel 1968, si è pensato alla favolosa Aratta, menzionata in testi sumerici come un luogo lontanissimo, arduo da raggiungere, ricco d’oro e di pietre preziose. Tra queste, primeggiavano i lapislazzuli, e infatti ne sono stati trovati a mucchi, ancora in attesa di essere lavorati.
Nelle numerose campagne di scavo, abbandonate e riprese in seguito, sono stati rinvenuti reperti straordinari, come il vaso in ceramica che raffigura una capra “saltatrice” (al Museo di Teheran). Cartone animato ante litteram: facendo girare il vaso su sé stesso, si possono notare le fasi del salto in movimento. Le indagini italiane sono state documentate a Lecce la scorsa estate in una mostra fotografica che ha suscitato un enorme interesse e, tra i manufatti che hanno recuperato, figurano tavolette di tipo contabile con sigilli, che indicano un surplus economico della comunità. Sono tracce di una civiltà avanzata che assicurava un benessere generale. Da quanto è emerso, il sistema politico vigente non era piramidale; i diversi gruppi di origine tribale prosperavano in un regime equilibrato senza alcuna élite prevalente: tutti in pace, non avevano mura di difesa. Dalle 1.100 sepolture finora scoperte risulta una percentuale femminile straordinaria che rivela una società matrilineare, a differenza di Mesopotamia ed Egitto. In una tomba, diversi anni fa Mansur Sajjadi aveva scoperto i resti di una donna molto alta, dal ricco corredo funerario: la cosiddetta “sciamana”, che aveva sostituito un occhio mancante con una protesi emisferica di bitume e venature d’oro.
Erano dunque le donne che garantivano la convivenza in una parità di diritti/doveri sulla base di una proficua economia: un esempio di invidiabile “socialismo”. Il progetto italo-iraniano in otto anni ha prodotto nuovi dottorati di ricerca, conferenze, collaborazioni con atenei e il Museo di Teheran; e ora si appresta a nuovi interventi per Sokhta: salvaguardia, restauri e fruizione didattica. L’attività archeologica salentina in terre asiatiche però non finisce qui. Ascalone ha già avviato dallo scorso anno in Uzbekistan ricerche congiunte con l’università statale di Termez. Gli scavi sono concentrati nel sito di Djarkutan all’interno di una macro-regione, l’antica Battriana. Come Sokta e presumibilmente per gli stessi motivi, anche questa città, nata nel 2200 a.C., scomparve all’improvviso. L’estensione del sito riguarda 60 ettari e continuano i ritrovamenti; tra gli ultimi, la serie di pesi da bilancia differenti che testimoniano una vivace attività di commerci internazionali. Sempre in Asia, ritroviamo Nicola Laneri e i suoi allievi catanesi, impegnati dal 2018 nella parte nord occidentale dell’Azerbaijan. Una zona caratterizzata da centinaia di “kurgan”, i tumuli funerari delle antiche popolazioni nomadi che si muovevano col bestiame nei monti del Caucaso. Tra le ricerche affidate agli archeologi italiani del Camnes, insieme a colleghi azeri, è di grande importanza la scoperta a Tava Tepe: una mensa di grandi dimensioni. Una struttura circolare con due muri concentrici di terra cruda: in mezzo, più in alto, si trovava una cucina con otto alloggiamenti di forni; intorno, sono state rinvenute numerose ossa di animali e una quantità di vasellame da tavola. Tutto rimanda al consumo di un pasto collettivo, cerimoniale, che forse aveva riunito i membri di varie comunità: per suggellare un accordo, o per onorare antenati e divinità condivise.

In una fase successiva (1300-1000 a.C.), il sito divenne un ”memorial”: la sommità fu sigillata con uno strato di terra e in cima venne posto un focolare. Per l’occasione, si erano svolte feste rituali, alle quali si riferisce la presenza di vasi e statuine in terracotta. Ma i festeggiamenti potrebbero anche riferirsi all’inizio più recente di una società sedentaria. L’anno appena trascorso ha visto all’opera 287 missioni italiane all’estero: davvero un bel primato, come sottolinea l’archeologa Valeria Lapenna, dedicata alla loro promozione. Tutte le ricerche sono sostenute con contributi finanziari o riconoscimenti dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, che accoglie le richieste più valide di atenei, Cnr, Ismeo, Centri Studi. Tra le università coinvolte, un posto di primo piano spetta alla Sapienza università di Roma, quest’anno riconfermata prima nel mondo per gli studi classici. Basti pensare alla scoperta di Ebla in Siria da parte del professore Paolo Matthiae, con lavori durati sessanta anni, ora affidati al professore Davide Nadali; oppure agli odierni scavi in necropoli dell’antica Cartagine. Queste ultime indagini riguardano Lorenzo Nigro, professore ordinario di Archeologia del Vicino Oriente, che lega il suo nome alla ricostruzione storica di Gerico, la città più profonda del mondo, in collaborazione con il Dipartimento delle Antichità palestinese. In tanti anni, sono stati messi in luce mura e abitazioni dall’età del Bronzo a quella del Ferro, all’interno di un Parco aperto ai visitatori. Sono stati progettati restauri, copertura e un Museo; ma il sito, Patrimonio Unesco, per la guerra in corso è ora oggetto di una protezione rafforzata.
Un’altra missione decennale interessa Betlemme, dove un sistema articolato di necropoli (II millennio a.C.) ha svelato la cultura materiale dei cananei, mentre alla periferia di Zarqa, in Giordania, si deve sempre a Nigro la scoperta di una città dalla triplice cinta di mura e di un palazzo intatto. Le costruzioni subirono un incendio nel 2300 a. C., ma il disastro di questa località ignota (il nome moderno è Khirbet al-Batrawi) non ha impedito di ricostruirne la prevalente attività - snodo carovaniere con asini - e l’alto tenore di vita degli abitanti del palazzo. Nelle sale sono apparsi reperti eccezionali, come la pelle d’orso con asce di rame appese (esposte nel Museo di Amman) e 600 perle per una collana con ametista. I nostri studiosi sono ben accolti, ambasciatori speciali del nostro Paese.