Cinquant’anni? Mica lo sapevo. Io sto qui dal 1995. Trent’anni m’abbastano e m’avanzano». Baffetti sottili, jeans e piumino smanicato, Marco (nome di fantasia) ha 72 anni. Più della metà li ha trascorsi qui, al serpentone di Corviale, il parallelepipedo di acciaio e cemento armato che Mario Fiorentino, con una nutrita equipe di colleghi architetti, ha progettato seguendo il modello dell’Unité d’habitation di Le Corbusier. Frutto di una stagione fortunata e poi contestata dell’intervento pubblico per la casa pianificato negli anni Sessanta del Novecento, il complesso del Nuovo Corviale è stato costruito tra il 1975 e i primi anni Ottanta nella periferia sud-ovest di Roma.
La prima pietra è stata posata mezzo secolo fa, il 12 maggio 1975, in una giornata piovosa. Le cronache dell’epoca, dall’Unità al Messaggero, riportano la presenza dei rappresentanti delle istituzioni, oltre al cardinale Ugo Poletti, e le foto del plastico elaborato dallo Iacp, l’Istituto autonomo case popolari. E snocciolano dati: 986 metri, 37 metri di altezza, nove piani, 50 chilometri di condutture di riscaldamento, 1.200 appartamenti per contenere fino a 4.500 persone. Già allora, però, le cifre ballano: 4.500 residenti? Settemila? Chissà.
Trovare testimoni oculari non è facile. Ma chiedendo qualcuno si scova. «Certo che c’ero. Eravamo bambini, ma c’ho st’immagine precisa in mente: io co “er caccola”, lui colle scarpe Mecap ai piedi, mentre sulle biciclettine giriamo intorno alle fondamenta». Alessio Barbera, classe 1969, è nato e cresciuto nell’adiacente quartiere di Casetta Mattei, «ma ho passato più tempo al serpentone che a casa mia». Lo incontriamo al punto ristoro Campanella, presidio di cibo e attività sociali del quartiere intitolato alla sociologa Nicoletta Campanella, autrice nel 1995 di un libro ancora utile, “Roma: Nuovo Corviale. Miti, utopie, valutazioni” (Bulzoni editore).
Barbera si dice sicuro dei suoi ricordi. Ma sono autentici? O non rientrano forse nel ricchissimo patrimonio di leggende che si è consolidato intorno a questo edificio? Divenuto il più iconico e famigerato della periferia di Roma, il Corviale è vittima della contesa tra le giunte di sinistra, autrici della costruzione, e quelle della destra post-fascista che ne chiedevano la demolizione perché simbolo di un’ideologia marxista. Sul confine tra fatti e finzione si muove Mala Carmina, l’opera collettiva che, tra sperimentazione sonora e documentario teatrale, è andata in scena nei giorni scorsi, prima al Corviale, nel centro d’arte Mitreo Iside, poi all’Accademia di Spagna a Roma. Frutto della collaborazione tra Massimiliano Casu, artista in residenza all’Accademia, e il collettivo Ati, attraverso una messa in scena che è insieme riunione di condominio e rito di espiazione, Mala Carmina solleva i nodi problematici del serpentone.

La reputazione è pessima sin dalla prima pietra. Il giorno successivo alla posa, il 13 maggio 1975 il Messaggero già parla di un “mostro perfetto”, ricorda Paola Romoli Venturi in un articolo per la Rivista Corvialista, fresca di stampa. «Ma cos’ha fatto di male questo palazzo?», si chiedono Massimiliano Casu e il collettivo Ati, tanto da meritarsi uno stigma così inossidabile. Tre le ipotesi esplorate. Prima: «L’ha fatto un inventore pazzo e presuntuoso, voleva generare una vita perfetta e artificiale». Seconda: «Corviale è stato fatto dai politicanti per farci stare chiusi, zitti e buoni. Hanno messo i poveri in una prigione perfetta». Terza e ultima ipotesi: «Corviale non lo ha fatto nessuno. È emerso come gli Appennini, come un monte sacro. Per questo la parola “emergenza” è usata così tanto in relazione al quartiere».
Tre ipotesi che non reggono alla prova dei fatti, guardando da vicino questo edificio di cui Fiorentino rivendicava la scala, la monumentalità, la «prevaricazione sul paesaggio circostante», membrana porosa tra città e campagna. La riapertura del serpentone al resto della città, la sua recente tensione a scrollarsi di dosso la pessima, immeritata reputazione, dipende da fattori insieme materiali e simbolici. Conta il “chilometro verde”, il progetto della regione Lazio per ristrutturare gli appartamenti del “piano libero”, occupati abusivamente negli anni Ottanta. Conta il Piano urbano integrato (Pui), il programma di rigenerazione urbana di Roma Capitale che, con fondi del Pnrr, ha stanziato 50 milioni di euro circa per le cinque linee d’azione del Polo solidarietà Corviale. Ma più importanti sono i fattori simbolici. Da alcuni anni a Corviale tira un’aria nuova. Non è il ponentino che la costruzione del serpentone avrebbe sottratto all’intera città. Tira aria di “corvialismo”, sostengono i frequentatori della Piazzetta delle arti in movimento, tra via Mazzacurati e via Poggio Verde, qui nella periferia romana: «una volta era vergogna, ora è rivendicazione».