Tutto è confuso. Lei dice che è violento, che beve. Lui che è gelosa in modo morboso, che lo assilla. Stanno insieme da un anno. Lui è contabile in un’azienda informatica. L’imputato è lui. Lei non la vedo. Forse è in aula ma non so chi sia. Lui porta una camicia bordeaux a pois. Quando è seduto sullo strapuntino laterale rimane ostentatamente girato verso i giudici dando la schiena al pubblico. Lui torna a casa tardi. Lei glielo rinfaccia. È già a letto. «Quando torno a casa sono tranquillissimo. Ma lei fa di tutto per mandarmi in bestia». «E perché voleva trascinarla giù dal letto?». «Perché mi manda in bestia». «Che cosa intende con questa espressione che adopera di continuo in fase procedurale?». «Mi innervosisce, mi provoca. Anche quando sono tranquillo dice che non mi comporto in modo normale.
Avevo preso un po’ di coca ma faccio di tutto per calmare le acque. Potete verificarlo anche sulla registrazione che ha fatto lei. Dice che vuole chiamare mia madre. A quel punto ho solo voglia che se ne vada. Mi offro di aiutarla a fare la valigia. Risponde che se ne andrà quando se ne andrà». «E lei la trascina giù dal letto. Non le sembra una violenza trascinare le persone?».
«Succede in tutte le coppie». «Ha tirato un accendino contro il muro». «Sì». «La querelante dice che l’ha fatta scendere dal letto e l’ha scaraventata nel corridoio». «No. Non l’ho scaraventata, ce l’ho spinta. Ha studiato legge quella, le conosce bene le parole giuste da dire». Ammette di averla insultata ma nega qualsiasi violenza fisica. Alla fine le getta la borsa dalla finestra per farla sloggiare. Lei va al commissariato e sporge denuncia. La polizia gli piomba in casa.
«A sentirla parlare si direbbe che la sua responsabilità sia minima. Quando i poliziotti fanno il loro lavoro dice che sono aggressivi. Ma quando brutalizza la sua compagna allora dice che la manda in bestia. È un po’ strana la sua posizione, non trova? ». «E come dovrei pormi secondo lei?». L’avvocata della ragazza si accanisce sull’imputato. La procuratrice è più misurata. Del resto chiede una condanna piuttosto mite.
Il difensore dice che non vede niente di male nella posizione del suo cliente, che secondo lui non è affatto una posizione. Dice che il caso si fonda unicamente sul presupposto della veridicità assoluta delle dichiarazioni della vittima. Vittima e non querelante, sottolinea. Sicché il suo cliente figura ogni volta come aggressore. Osserva che per un avvocato è difficile accettare questo lessico. Un’altra difficoltà, dice, è che tutto è violenza. L’uomo ha tirato un accendino e ha colpito il muro con le mani. Dunque non ha nuociuto ad altro che ai propri polsi. Domanda se gli insulti nella sfera intima e le cadute di stile appartengano al registro della violenza. Un problema, se così fosse. Dice che per questa coppia la cosa migliore è stata separarsi. Che non c’è altro da fare.
Conclude così: «Non so se c’è qualcuno disposto ad ascoltarmi. Ho l’impressione di andare controcorrente rispetto a tutti coloro che sono intervenuti in questo caso. I casi di violenza coniugale sono diventati molto difficili. Fino a qualche anno fa si brancolava nel buio, oggi è l’opposto, c’è tanta di quella luce che siamo abbagliati, non vediamo più la realtà ».
Parigi, novembre 2022. Corte penale, 10a sezione.