Con la sua prima mostra personale "Nacre Mediterraneo" a Belgrado, la giovane artista esplora l’arte sostenibile, intrecciando memoria, ambiente e poesia visiva

Il respiro del Mediterraneo nell’arte di Claudia Evangelista: debutto internazionale tra ecologia e memoria

Classe 1999, originaria di Sorrento, Claudia Evangelista ha fatto del suo percorso artistico una continua ricerca di connessione tra il mondo naturale e l’arte contemporanea. Cresciuta tra le coste di Sorrento e Napoli, si è spostata poi a Roma, Belgrado e Lipsia, luoghi che hanno arricchito la sua sensibilità e il suo approccio artistico. In bilico tra memoria e materia, natura e gesto creativo, il suo lavoro attraversa i confini del Mediterraneo per approdare nelle città dell’Europa centrale e orientale. Le sue opere, spesso realizzate con materiali sostenibili, parlano di un passato che si intreccia con il presente, dando vita a una poesia visiva che invita alla riflessione e alla rinascita. Alla vigilia della sua prima mostra personale, Nacre Mediterraneo, abbiamo dialogato con l’artista per esplorare il suo percorso, i riferimenti che la guidano, il significato di fare arte oggi, in un tempo che reclama responsabilità, ascolto e rinnovata connessione con il mondo naturale. 

La sua generazione è fra le prime ad aver sviluppato una coscienza ecologica diffusa. Quanto ha influito nella sua arte? 

Il mio lavoro, sia nell’aspetto performativo che in quello installativo, non può prescindere dalla consapevolezza ecologica. La sostenibilità ha sempre fatto parte del mio vissuto. Sono nata a Sorrento, una città costiera, dove le scelte etiche sono la norma: dal fare la spesa al mercato, comprare il pescato del giorno o indossare i maglioni fatti a maglia da mia nonna. Al concetto di economia circolare mi sono avvicinata grazie a mia sorella Emilia, che ha scelto questo come campo di studi. È stato inevitabile incorporare tutto questo nei miei lavori. Prediligo materiali compostabili o che posso riqualificare in altri modi, tessuti di seconda mano o veri e propri scarti e found objects. Riportare alla vita dei materiali che portano con sé un passato, portarli alla luce quasi come “reliquie contemporanee” è un aspetto fondamentale, ci comunico come fossero persone e ne riconosco il valore, il loro capitale umano. 

“Nacre Meditrraneo" sarà la sua prima mostra personale. Ci racconta il progetto? 

Con questa mostra vorrei portare un po’ di me ad una città, Belgrado, che mi ha dato tanto, con la sua durezza e la sua multiculturalità, le dinamiche politiche e sociali così sentite dai cittadini. Le opere inonderanno lo spazio con metri di tulle, reti da pesca e polpa di carta, portando un vento ricco di salsedine dove cristallizzata al suo interno brilla il nacre, che crea perle che si muovono col vento, costruendo una melodia che si unisce a quella esterna degli alberi. Portando le acque mediterranee a Belgrado. “Nacre Mediterraneo” sarà un lavoro site specific per la galleria “Non canonico” di Belgrado con cui collaboro dal 2023. La galleria, di proprietà di Mirko Lubarda, è da sempre uno spazio innovativo e vivo, dove il primo elemento da considerare è il carattere della galleria stessa. 

Quali sono i suoi punti di riferimento artistici? 

Il mio percorso artistico è stato determinato dall’arte concettuale e informale, la prima volta che ho visto un “concetto spaziale” di Lucio Fontana dal vivo per me è stata una rivoluzione. Ho capito che anch’io potevo comunicare. Un ruolo importante è svolto dall’arte antica, più che d’ispirazione è vera e propria parte della mia identità. L’estetica relazionale è una corrente in cui mi riconosco molto, con le opere di Rirkrit Tiravanija e Felix Gonzales-Torres. Poi Doris Salcedo, Mima Orlović e , ovviamente, un ruolo fondamentale è stato quello dell’artista Marta Jovanovic, la mia insegnante di performance in accademia. 

Napoli, Roma, Belgrado, Lipsia: lei ha incontrato diverse scene artistiche. Quali sono le differenze? 

La prima cosa che ho notato è come la poetica di vari artisti viene strutturata.  In Italia c’è un forte interesse per la ricerca, studio dei materiali e soprattutto della storia dell’arte, che influenza la poetica di ogni artista. Nei Balcani, la mia impressione è che la voce personale dell’artista e la ricerca sono su piani diversi, un’ovvia conoscenza della materia ma ciò che risalta di più è la poetica personale. Nell’Europa centrale, invece, vedo più forte il flusso creativo dell’artista, c’è meno rigore accademico e più sperimentazione. Io sono più legata ad uno stile italiano, dove le influenze passate sono parte integrante della ricerca e valorizzo la storia attraverso opere d’arte contemporanee. Tuttavia, viaggiando riesco a migliorare il mio bagaglio culturale e apprendere il bello che c’è in diverse culture e tradizioni presenti e passate, ma credo di avere ancora tanto da imparare e vedere. 

L'arte contemporanea è realmente inclusiva? Cosa significa per lei? 

Sì, l’arte contemporanea è fortemente inclusiva. Ognuno qui può avere una voce. Non esistono più solo musei e gallerie per esporre arte, sono tantissimi gli spazi espositivi, off spaces, collettivi e festival dove si può lavorare in una comunità che fa tutto per amore dell’arte. Ovviamente ci sono anche i lati negativi, i fondi non sono mai abbastanza e la politica non investe nell’Arte o nella cultura in generale il che rende molto difficile portarla nella quotidianità dei cittadini.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Un Leone contro Trump - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 16 maggio, è disponibile in edicola e in app