I numeri parlano chiaro: nel 2024 i visitatori dei musei statali sono tornati ai livelli pre-pandemici, con oltre 60 milioni di ingressi (+15% rispetto al 2023), trainati soprattutto dal turismo internazionale. Eppure, dietro le facciate delle grandi istituzioni, si nascondono crepe sempre più evidenti: carenza di personale, precarietà contrattuale, difficoltà gestionali. Il tema della valorizzazione del lavoro nei musei è centrale anche a livello europeo. L’ICOM (International Council of Museums), promotore della Giornata Internazionale, ha scelto per il 2025 il tema “Musei per l’educazione e la ricerca”, ribadendo il ruolo strategico delle istituzioni culturali nei processi di formazione, inclusione e innovazione sociale. In occasione della giornata internazionale dei musei, abbiamo chiesto un parere sulla situazione italiana ad Angelo Crespi, Direttore della Pinacoteca di Brera di Milano.
Direttore, tutti parlano di overtourism e boom di visite ma qualcosa non quadra: è notizia recente il licenziamento (poi revocato) dei dipendenti dei Musei Civici di Verona. Quelli di Bologna hanno scioperato a marzo per le scarse assunzioni. Cosa non funziona?
"Non conosco le situazioni di altri musei, per cui non posso dire nulla in merito. Circa l’overtourism, per quanto riguarda Milano, non ci sono per ora problemi di sovraffollamento. Milano si sta trasformando in una città d’arte dove il turista si ferma per più giorni, non solo per business o fare shopping. Noi a Brera beneficiamo di questa inedita attrattività, mentre Milano beneficia di poter vantare alcuni musei straordinari, tra i quali Brera e il Cenacolo che dirigo. Per questo la Pinacoteca con l’apertura del nuovo Palazzo Citterio, nel 2025 arriverà a circa 600 mila biglietti. E il Cenacolo al suo limite massimo di capienza, considerando la fragilità dell’opera e dunque il contingentamento necessario, a oltre 500 mila biglietti. Certo il problema del personale non è secondario: ma è già notizia che il ministero della Cultura sta approntando un concorso per assumere nuovi custodi. Noi stessi stiamo aspettando per Palazzo Citterio un ampliamento della dotazione organica che ci permetterà di essere tranquilli, posto che già oggi abbiamo 200 dipendenti e ottime relazioni con i sindacati".
D’altronde non è un problema contemporaneo: negli anni Settanta la Pinacoteca venne chiusa per mancanza di fondi. Com’è la situazione oggi?
"Una situazione molto positiva. La riforma del 2014, voluta da Franceschini e poi implementata dall’attuale ministro Giuli, che ha dotato i grandi musei di Stato di piena autonomia gestionale, ha reso possibili performance prima impensabili. Basti dire che il Colosseo ha superato i 100 milioni di euro di ricavi all’anno, gli Uffizi sono oltre i 60, la Grande Brera sui 15. Dunque, non è più valida la trita formula retorica che noi in Italia non saremmo in grado di valorizzare il nostro patrimonio. Questo nuovo modello, da un lato rende disponibili più risorse per la conservazione e la tutela, dall’altro, attraverso un fondo di solidarietà che i grandi musei ritornano al Ministero, aiuta anche i piccoli istituti non autonomi. Inoltre da molti anni, al di là dei fondi del Pnrr, lo Stato ha destinato risorse importanti per adeguare le strutture ai criteri di accessibilità e inclusività. Noi, per esempio, a Brera abbiamo in dotazione più di 20 milioni di fondi vincolati per restaurare nei prossimi anni gli edifici che fanno parte del nostro complesso preparandoci alle sfide che ci pone il futuro in cui i musei diventano sempre più centrali nelle dinamiche democratiche delle comunità di riferimento".
“La Grande Brera”: è presto per un bilancio ma sembra essere già un punto di riferimento in Italia e all’estero. L’esperienza dei visitatori è fra le più tecnologiche e innovative del nostro Paese.
"Direi che possiamo fare un primo bilancio: la Grande Brera ha posto al centro gli stakeholder che sono innanzitutto i visitatori, e con particolare attenzione ai cosiddetti pubblici fragili, mettendo in campo progetti e risorse specifiche. In generale stiamo usando le tecnologie più avanzate sia per allestire sia per migliorare la fruizione. Per quanto riguarda il brand, uno studio che abbiamo commissionato a Makno, dimostra che a tendere nei prossimi anni il marchio “Grande Brera” potrebbe contribuire in modo sostanzioso al sistema Milano. Cioè di una città allargata di 3 milioni di abitanti che è il centro di un cluster di 9 milioni di abitanti tra i più produttivi al mondo. Credo che sia questo il motivo per cui il cosiddetto modello Grande Brera interessi anche a livello internazionale".
Musei internazionali: cosa importerebbe nella gestione dei musei italiani?
"Sono convinto che in questo momento siamo tra i migliori al mondo. I grandi musei internazionali, al contrario, stanno vivendo momenti difficili, penso alle recenti polemiche che hanno coinvolto il Louvre in merito alle cattive condizioni di conservazione".
L’opportunità di “importare” per qualche tempo la Gioconda invece è sfumata. Se fosse accaduto non sarebbe stata la prima volta. Un’occasione persa? Brera ne aveva davvero bisogno?
"Era ovviamente una provocazione. Ma la Gioconda nel 1913 è già stata esposta a Brera dopo che fu rubata e ritrovata in Italia, prima di ritornare in Francia. Per cui…".
C’è un’opera a Milano che meriterebbe la stessa fama del dipinto di Leonardo?
"Il Cenacolo vinciano gode della stessa fama. È una icona, ancor di più della Gioconda a mio parere, per il suo aspetto quasi di fantasma, evanescente, sul punto di scomparire, fragile eppure così pieno di significati nel suo resistere miracoloso".