Biglietti dei concerti a un euro. Un palinsesto di qualità. Scelte condivise. Ottant’anni fa a Padova un gruppo di studenti universitari fondò un centro culturale. Che guarda ancora al futuro

Va in scena l’arte democratica

La Sala dei Giganti è un grande ambiente elegante, con affreschi che risalgono al Rinascimento, dopo che le prime opere realizzate nel Trecento sono andate perdute. Nel cuore di Palazzo Liviano, a Padova. I Giganti sono gli uomini illustri, un ciclo di cinquanta ritratti, tra gli altri Cicerone, Giulio Cesare, Carlo Magno, Petrarca. A fine gennaio, i 450 posti a sedere nel salone erano tutti esauriti, per due sere consecutive.

 

Un pubblico attento e curioso ha assistito ai due concerti del sassofonista giapponese Akira Sakata, con il suo personalissimo approccio al free jazz. La prima data, in duo con il pianista Giovanni di Domenico, e poi accompagnato dall’Italian Ensemble, dedito all’improvvisazione e creato per l’occasione. Nel secondo concerto invece Sakata ha portato per la prima volta in Europa il suo gruppo Bonjintan, per l’occasione trasformato in quintetto, fondato assieme a Jim O’ Rourke, mettendo insieme tradizione giapponese e influenze nordamericane ed europee. Due concerti irripetibili, punto di partenza di un programma di eventi che durerà fino alla fine del 2026, ad aprire le celebrazioni per gli ottant’anni del Centro d’Arte dell’università di Padova, l’istituzione italiana più antica di questo genere. Un’associazione di studenti che dal 1945 organizza concerti, proponendo musiche che si rivolgono al presente in modo radicale, rivoluzionario.

 

«Il centro è un unicum all’interno del panorama delle università italiane», spiega Monica Salvadori, presidente del Centro d’Arte e prorettrice dell’università di Padova. «È un’associazione che nasce per la volontà di alcuni studenti particolarmente interessati ai linguaggi dell’arte contemporanea. Inizialmente ha una dimensione molto ampia, legata anche al cinema e all’arte, poi nel corso del tempo si è concentrato soprattutto in attività che riguardano la musica contemporanea», prosegue. Con l’idea di offrire una proposta culturale democratica e aperta a tutti, per studentesse e studenti dell’università di Padova l’iscrizione all’associazione è gratuita, mentre i biglietti dei concerti costano un euro; per tutti gli altri i biglietti sono comunque mantenuti a prezzi bassi. «C’è molto seguito, soprattutto da parte dei giovani. E questo mi sembra un bel dato», osserva la presidente Salvadori.

 

Al momento, le scelte musicali sono affidate a quattro direttori artistici, Veniero Rizzardi, Stefano Merighi, Nicola Negri e Matteo Polato. «La nostra è una direzione artistica fondamentalmente condivisa, in cui c’è una continua discussione», spiega Rizzardi, musicologo. «Quello che a noi interessa è lavorare su diversi repertori, che vanno dalla composizione all’improvvisazione, al jazz fino alla ricerca elettroacustica, sempre però in una prospettiva di radicalità. E abbiamo potuto dimostrare con questa libertà di programmazione che con proposte anche di tipo radicale si riesce ad arrivare al pubblico». I sold out dei primi appuntamenti sembrano dargli ragione.

 

Molti dei musicisti vengono a Padova in residenza e il Centro d’arte commissiona loro dei progetti, che vengono presentati in esclusiva italiana, a volte europea. Così è stato con Jim O’ Rourke, legato alla scena sperimentale di Chicago, che da molto tempo vive a Tokyo, dove condivide progetti di vita e artistici assieme alla musicista giapponese Eiko Ishibashi, compositrice di colonne sonore di diversi film (tra cui “Drive my car” di Ryūsuke Hamaguchi, tratto dall’omonimo racconto di Haruki Murakami) e in passato collaboratrice del maestro del japanoise Merzbow.

 

È stato proprio il Centro d’Arte a riportarlo a suonare in Europa nel 2023, dopo più di vent’anni. All’inizio di febbraio anche il musicista statunitense si è esibito in due appuntamenti molto diversi, uno più legato all’elettronica assieme alla tromba di Flavio Zanuttini e l’altro con la sua band Kafka’s Ibiki, in cui suona il basso, assieme appunto a Eiko Ishibashi e a Tatsuhisa Yamamoto.

 

«Cerchiamo di adattarci ai tempi. Aspiriamo ad essere una sorta di sismografo delle culture musicali contemporanee, in cui cerchiamo di cogliere ciò che ci pare veramente significativo», riflette Rizzardi. Lo stesso approccio portato avanti, in fondo, da ottant’anni: tra gli artisti passati per il Centro d’arte ci sono Andrès Segovia e Karlheinz Stockhausen, Terry Riley, alcuni tra i jazzisti più importanti come Thelonious Monk, Chet Baker, Ornette Coleman, e poi in anni più recenti nomi fondamentali delle scene d’avanguardia, come John Zorn, Bill Frisel, Uri Caine, Mats Gustafsson.

 

E che prosegue ora cercando di abbattere sempre di più le frontiere tra i generi. In questa prima parte di stagione si è svolto il festival “Audiomanzia”, legato alla sperimentazione e all’elettronica, tra gli ospiti la sassofonista Laura Agnusdei, la musicista iraniana Farzaneh Nouri, assieme a Daniele Fabris, Francesco Corvi e al sound artist francese Hugo Lioret. Poi i concerti del trio multietnico (con base a Chicago) The Outskirts, i suoni oscuri di Mai Mai Mai e di Lino Capra Vaccina. A chiudere il calendario primaverile, il 17 maggio, ci sarà l’avanguardia ricercata dell’ensemble formato dal portoricano Brandon Lopez, dalla tedesca Ingrid Laubrock e dal batterista statunitense Tom Rainey. In luoghi sempre diversi: il Circolo Nadir, il Teatro Torresino, la Sala dei Giganti. In autunno, invece, arriverà la chitarrista e compositrice statunitense Mary Halvorson, con una formazione numerosa e multiforme.

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