“È un tempo difficile, ma siamo pronti a fare delle difficoltà una risorsa e a difendere la nostra libertà”, dice la regista impegnata nella difesa delle donne nel cinema

Puntiamo sulle opere prime - Colloquio con Alice Rohrwacher

Sono come il mio Lazzaro Felice, non cambio mai, cambia il mondo interno a me e si svela». Alice Rohrwacher è tra i cineasti italiani più conosciuti e apprezzati a livello europeo, specie nell’ambito dei festival cinematografici. La sua prima volta a Cannes risale al 2011, è tornata quest’anno in veste di Presidente di giuria della Camera d’Or, il premio dedicato alle opere prime. Non era sola, con lei c’era la sorella attrice Alba Rohrwacher, nella giuria del concorso ufficiale del Festival: «Non avevamo neanche un film insieme, in concorso a Cannes non ci sono opere prime», assicura la regista, già premiata con la medaglia come Ufficiale delle Arti e delle Lettere della repubblica francese al Festival Rendez Vous di Roma. Lì aveva fatto un discorso poetico e politico sull’urgenza della pace: «Lottiamo per non avere ordini imposti, ma guardare e ascoltare con occhi e orecchie di altri l’ordine della bellezza, dell’armonia e della pace». È tra i firmatari della lettera al ministro Giuli scritta da registi e attori sulla crisi del cinema italiano.

 

Come artista in Italia si sente libera?

«Libera e spregiudicata. Ho la possibilità di coprodurre i miei film anche con altri Paesi, e questo mi dà più libertà. Non so se mi sentirei altrettanto libera se dovessi esordire oggi».

 

E come cittadina?

«Mi sento libera perché posso votare e spero di poter votare sempre. Sono innamorata dell’Italia e come tutte le storie d'amore è complessa e straziante».

 

Straziante perché?

«Perché chi amiamo sa ferirci di più. Perché in Italia c'è una biodiversità dello sguardo immensa ma non viene considerata una ricchezza. Siamo un Paese straordinario, ma la cultura è sempre più intesa come enogastronomia, ci si dimentica di considerare l’importanza del bordo, della frontiera, del precipizio».

 

Ovvero?

«Di ciò che ci permette di cambiare le nostre credenze e convinzioni e trasformare il nostro sguardo. Non è un caso se nel mio film “La Chimera” ho chiamato Italia il personaggio che nascondeva i figli sotto al letto e non voleva farli vedere a nessuno. È quello che fa il mio Paese amato con i suoi figli meticci, li nasconde sotto al letto, ma questi figli esistono e sono bellissimi».

 

In Francia è stato condannato Gerard Depardieu, i movimenti femminili antimolestie si fanno sentire anche in Europa?

«Lo trovo un grande esempio: l’esempio che unirsi e coalizzarsi può cambiare le cose. L’unione ha trasformato le parole in azioni, azioni giudiziarie nello specifico, e speriamo che possa espandersi anche oltre il MeToo, far sì che le parole e gli appelli si trasformino in azioni concrete».

 

Qualcosa sta cambiando anche in Italia.

«Era ora! Sono molto felice di far parte di questo cambiamento, anche se le cose cambieranno veramente quando non ne dovremo più parlare, perché sarà naturale che ci siano registe in concorso ai festival, come sui set. Il cambiamento parte quando le donne si coalizzano, uscendo dalla logica della prima donna il cui più grande nemico sono le altre, un modo con cui il sistema patriarcale ha perpetrato il suo realizzarsi. Oggi tutto questo è stato sfatato e io lotto affinché ci siano sempre più registe libere di esprimersi».

 

Da presidente di giuria a Cannes cosa sperava di trovare nelle opere prime?

«Il seme di un cambiamento capace di inceppare il sistema. Vedere come immaginano il mondo i vecchi governanti mi ha stufato, è bello scoprire i semi di un futuro imprevedibile. Le opere prime sono quelle che racchiudono l’anima di un autore e la sua necessità. A prescindere da tutti gli errori, che è bene ci siano. Questa necessità credo ci sia ovunque, la sento fortemente anche nel nostro Paese».

 

C’è lo spazio per esprimersi?

«In tutta Europa le opere prime dipendono dai finanziamenti pubblici, altrimenti esordire è impossibile. Bisognerebbe far sì che chi amministra i fondi dello Stato dia particolare attenzione alle opere prime e alla loro diversità».

 

Com’è stato essere a Cannes con sua sorella Alba?

«Ci siamo stordite di felicità. All’inizio pensavo mi avessero invitato cercando Alba, non si erano sbagliati, volevano entrambe a Cannes. Ne siamo state felici. Penso sia stato bello anche per il cinema italiano, siamo state in due giurie diverse ma molto importanti. Abbiamo sentito la responsabilità di dover premiare, un premio può cambiare la vita di un autore, anche se poi i film validi riescono ad affermarsi anche senza premi».

 

Com’è cambiata dal suo primo film?

«Ho capito chi è una segretaria di edizione. Il primo giorno di riprese fingevo di saperlo, pensavo fosse la segretaria di dizione. Ricordo il mio “Corpo celeste” come un film libero e spregiudicato, vederne le imperfezioni è prezioso. Con il primo film possiamo esprimere con libertà l’urgenza che sentiamo prima ancora di pensare alla storia. Ancora oggi vederlo mi emoziona, anche se immaturo, ma ben venga».

 

Cosa le è rimasto della regista di allora?

La sorpresa per un’arte che permette di esprimere uno sguardo sul mondo. Il cinema che piace a me non è solo un mezzo d’intrattenimento, amo i film che ci liberano lo sguardo. La missione del cinema è rendere straniero il nostro sguardo, farci vedere con gli occhi di uno straniero».

 

A cosa sta lavorando adesso?

«A più progetti, alla serie sulle Fiabe italiane di Calvino e altri due film. Non è un periodo facile ma siamo pronti a fare delle difficoltà una risorsa e a difendere la nostra libertà».

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