“La democrazia è in pericolo. Negli Stati Uniti siamo sull’orlo di una guerra civile”, dice il regista americano, tra i più influenti al mondo, critico con le politiche di Trump. “Al cinema spetta ancora il compito di raccontare la verità”

Odio chiama rabbia - Colloquio con Martin Scorsese

«In un momento complesso come questo, in cui siamo bombordati di immagini create dall’intelligenza artificiale, il cinema ha un ruolo fondamentale: raccontare la verità, guardando cosa accade per le strade e ascoltando la voce della gente». A dirlo è colui che persino Francis Ford Coppola ha definito «l’unico vero grande regista fra tutti noi»: Martin Scorsese. Un monumento del cinema mondiale che a 82 anni vanta un’energia fuori dal comune, e certo non usa giri di parole per dire la sua su temi delicatissimi. Appena premiato al Taormina Film Festival, che ha proiettato nel teatro Antico il suo iconico “Taxi Driver” in versione restaurata 4 k, il regista di “Toro Scatenato”, “Quei bravi ragazzi” e “The Wolf of Wall Street” non esita a dichiarare: «La democrazia è in pericolo. Negli Stati Uniti siamo sull’orlo di una guerra civile».

 

Si riferisce alle proteste in California per la discutibile politica migratoria di Trump?

«Purtroppo la storia si ripete, il destino di tutti i “diversi” che entrano in una comunità già formata è lo scontro. È successo anche ad altri immigrati prima, a italiani, irlandesi, portoricani. Lo dico da figlio di immigrati, quando i nuovi arrivati tentano di amalgamarsi esplode sempre un conflitto. Oggi però il governo Trump si rivela una grande delusione. Non sarò un filosofo politico, ma mi sembra evidente che la rabbia corroda solo chi la prova e l’odio finisce solo per fare male alla gente. Sembra quasi che questo governo goda a ferire le persone, mi sembra drammatico. A meno che non sia tutto un grande test per misurare il reale potere del presidente, fatto sta che il governo americano è controproducente. Pensiamo ai dazi: la gente quanto sarà disposta a tollerare una politica simile, che avrà ripercussioni economiche per le generazioni a venire? Temo possa essere vicina la fine della democrazia, il che mi preoccupa parecchio».

 

Cosa fa per tenere a bada le preoccupazioni?

«Pratico tanta meditazione, coltivo la mia spiritualità».

 

E poi fa cinema. Come ha iniziato ad appassionarsene?

«Grazie all’asma, di cui soffro fin da quando avevo tre anni. I miei genitori non sapevano dove portarmi, così mi accompagnavano al cinema, dove a fine anni Quaranta vedevo film di guerra, western e neorealisti italiani. Guardavo i grandi classici anche in tv, nel comprensorio in cui abitavo, passando tanto tempo a osservare fuori dalla finestra. Anche quello è cinema, verità che si dipana davanti ai tuoi occhi. Poi a 14 anni trovai un cinema in cui potermi godere su uno schermo bello grande capolavori come “Quarto Potere” di Orson Welles».

 

È il suo film preferito?

«Insieme a “Paisà” di Rossellini e “Ladri di Biciclette” di De Sica, ma anche “Ombre” di Cassavettes. Quest’ultimo mi ha cambiato la vita, guardandolo ho sentito la mia vera vocazione – prima ero stato in seminario, in cerca di tutt’altra chiamata. La mia idea di diventare un regista è nata dal fatto che mi emozionavo tanto in sala e poi a casa continuavo a parlare dei film visti. I miei genitori appartenevano alla working class, vivevamo in un quartiere in cui non tutti facevano la vita che facevo io. Vivendo a New York non immaginavo di poter diventare un regista, allora si facevano film solo in California con grandi star. Poi è arrivato Jonas Mekas, regista di avanguardia che iniziò a girare a New York dimostrando che si poteva benissimo creare film indipendenti nella East Cost. Così ho iniziato a farlo anche io, radunando i miei più cari amici per fare film».

 

Ha iniziato a fare il regista per raccontare storie o per dirigere gli attori?

«Una buona storia è fondamentale, ma confesso che mi piace molto dirigere gli attori e mi lascio sorprendere da loro, ne ascolto il punto di vista, ne osservo le improvvisazioni sul set. Quando De Niro in “Taxi Driver” parla allo specchio non ho voluto interromperlo, ho tenuto la sua improvvisazione. Tutti i più grandi attori appena accendi la cinepresa recitano, fingono, non sono naturali. Solo Robert De Niro, Leonardo DiCaprio, Joe Pesci lo sono, parlano come parlavo io a casa con mia madre e mio padre. Ho sempre rincorso l’idea di un cinema-verità, realistico e vicino al documentario, con loro ho costruito dei bellissimi film, perché i film non si fanno mai da soli e il rapporto tra regista e attore è fondamentale».

 

Per Di Caprio e tanti altri lei è un mentore. Chi è stato il suo maestro, invece?

«La mia scuola di cinema è stata la famiglia e gli amici che raccontavano le loro storie a tavola. Il mio mentore? Un parroco della cattedrale di San Patrizio che frequentavo, non c’erano libri a casa nostra, mi passava lui quelli di James Joyce, Graham Greene, James Baldwin».

 

Ha scelto una carriera laica, eppure dopo “Silence” continua a esplorare tematiche religiose.

«L’aspetto religioso c’è sempre stato nei miei film. Sto lavorando su tre progetti diversi: un film sulla vita di Gesù, un documentario su Papa Francesco, che ho avuto la fortuna di conoscere, e “Saints”, una serie sulle vite dei santi. Il primo mi richiederà almeno un altro anno di lavoro, sarà in bianco e nero e ambientato nel mondo contemporaneo, basato sul libro di Shusaku Endo “La vita di Gesù”. Il secondo è il documentario “Aldeas” che è un’intervista a Papa Francesco attraverso il movimento globale Scholas Occurrentes e nella terza racconterò le storie di santi come Santa Lucia, San Pietro e Paolo e San Patrizio, ogni episodio durerà poco meno di un’ora».

 

È contento del nuovo papa americano?

«Non mi soffermo sul fatto che sia americano, da Papa Leone XIV mi aspetto che come Papa Bergoglio sia il Papa di tutti. Mi sembra interessante che abbia aperto il suo discorso inaugurale parlando di pace, vorrei che parlasse anche dei problemi comuni, che attengono alla sfera personale, perché il pontefice si fa carico dei problemi più intimi che affliggono l’umanità intera».

 

È impegnato da sempre nel restauro dei film e nella salvaguardia delle sale cinematografiche. Cos’ha di magico e insostituibile il cinema?

«Il cinema è una lente sulla vita, utile a farci uscire dall’isolamento e dalla solitudine. Un invito a guardare con curiosità qualcosa di diverso da te. Guardare film come “Casablanca” ti rende una persona migliore, più completa, diversa. Poi il cinema serve a viaggiare e conoscere culture e posti, anche per chi non può permettersi di farlo. È così che il cinema cambia la vita della gente, risvegliando lo spirito artistico che è in tutti noi».

 

Dell’intelligenza artificiale cosa pensa?

«Credo che possa aiutare a girare tecnicamente un film e a far guadagnare tempo. Io preferisco continuare a girare i miei film in luoghi fisici e montarli negli studi. Naturalmente, mi pongo una domanda: dove finirà l’essere umano, dove finiranno gli attori? Accetteremo di rivedere in ologrammi Gene Hackman, che è appena venuto a mancare, oppure Mastroianni? Anita Ekberg e Humphrey Bogart? Non ne sono sicuro, mentre sono certo che bisogna restare umani e usare il cuore in tutte le cose che si fanno». 

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