Rufus Wainwright, nato a New York e cresciuto a Montreal, è arrivato a comporre opere dopo anni di successo come cantautore. Il 27 giugno la sua “Hadrian” debutterà in Italia, inaugurando al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti il Festival dei Due Mondi di Spoleto. L'opera è incentrata su Adriano, imperatore romano dal 117 al 138 dopo Cristo, uomo di potere e condottiero, amante delle arti e del suo prediletto Antinoo. Dalla nostra intervista a Rufus Wainwright, autore delle musiche su un libretto di Daniel Maclvor, la contrastante personalità di Adriano, emerge come quella del protagonista di una epica storia d’amore.
Rufus Wainwright, quali sono le sue sensazioni nel presentare “Hadrian” in Italia?
«È una grande opera in un posto importante. “Hadrian” da un punto di vista musicale è composta in stile tradizionale e l'argomento è di rilievo. Ha molto a che fare con la Palestina e con l’inizio del conflitto, un argomento ancora attuale».
Mi dica di più sul collegamento dell’opera con la Palestina.
«L’opera si svolge durante il regno di Adriano, che fermò l’espansione dell’impero, con l’intenzione di migliorare l’unione dei popoli. È considerato un buon imperatore, ma anche per lui c’è un lato oscuro: il primo grande massacro di ebrei fu causato da Adriano e fu lui a creare la Palestina. Probabilmente è per questo che molti ebrei non guardano a lui con favore».
In “Hadrian” ci sono molte melodie e orchestrazioni imponenti. Possiamo definirla un’opera popolare?
«Piuttosto la definirei un’opera romantica, nel senso che fa parte della tradizione romantica, dalla quale non riesco a separarmi».
La stessa di Wagner e Verdi?
«Sì, anche quella di Puccini o di Glass, che talvolta ha scritto in stile romantico, come anche John Adams».
Aveva un autore o un’opera in mente quando ha pensato “Hadrian”?
«Diverse. Avevo in mente “Les Troyens” di Berlioz, “Don Carlos” di Verdi e poi il compositore francese Messiaen. Da un punto di vista orchestrale ammiro Richard Strauss e Janàčeck, ma al loro confronto mi sento un bambino».
Personaggi omosessuali sono rari nell’opera. In “Hadrian” sono protagonisti.
«I personaggi gay, nell’opera e nel teatro, sono messi al margine. Nella lirica ci sono incredibili storie d’amore come “Tristano e Isotta” o “Aida”, personaggi giganteschi. Con “Hadrian” ho voluto dare al mondo dell’opera due protagonisti gay mitici, grandiosi».
Nella messa in scena saranno mostrate foto realizzate da Robert Mapplethorpe. Perché ha deciso di utilizzarle?
«È un’ idea di mio marito Jörn Weisbrodt, il regista. Siamo entrambi ammiratori di Robert Mapplethorpe, ma è stato lui a collegarlo all’opera. Mapplethorpe era ossessionato dal corpo degli uomini, ma anche dalle donne molto forti. Nel suo lavoro esprimeva qualità, ma anche brutalità».
Che tipo di immagini vedremo?
«Non ce ne saranno di allarmanti. Certo, non mancheranno quelle sessuali, particolarmente quelle iconiche. Mapplethorpe era un fotografo straordinario, tutto da esplorare. Ci sono corpi bellissimi, ma anche tristezza e malinconia».
“Hadrian” è un’opera sensuale?
«Molto. Pensi che l’ouverture del terzo atto è l’orchestrazione di un atto sessuale».
Qual è il suo rapporto con “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar?
«Leggendo quel libro mi è venuto in mente che ne sarebbe scaturita un’opera incredibile. Avevo poco più di vent’anni. A quei tempi però non avevo l’esperienza, le conoscenze e il tempo di comporla. Dopo “Primadonna” mi sono sentito pronto e ho ripreso il progetto. Devo dire anche che mi sento molto legato al personaggio di Adriano».
Quali sono le doti che ammira in un cantante lirico?
«Innanzitutto il volume, la capacità di sovrastare l’orchestra. Anch’io ho una voce abbastanza potente. Credo che se avessi esercitato il canto lirico avrei potuto cantare l’opera. Apprezzo anche le doti atletiche: raggiungere un acuto o fare una cadenza assomiglia a una partita di baseball».
Per lei comporre opere è diverso da comporre un album pop?
«Molto diverso. La predisposizione mentale per l'opera è concentrata sui personaggi e sul dramma. Una canzone invece è intima, scavi dentro te stesso, vedi le cose da una prospettiva personale».