Gli esordi indie, Milano, il successo sanremese. Prima cinici, adesso sentimentali, tra fusa e gattini. Buoni, ma solo in apparenza. La coppia del pop festeggia con un tour i dieci anni insieme. Domenica 29 giugno sarà in concerto al Trento Live Fest powered by Eurospin

I Coma_Cose in tour: "Che la gelosia si fotta"

Partiamo dal beauty look perché la forma è sostanza. Quello di California (Francesca Mesiano): all’inizio, quando esplosero le band indie, indossava bomber e maxi orecchini anni Ottanta, portava i capelli rasati a zero color platino e arditi tagli pixie bicolori. Stilosissima come Fausto Lama (che di cognome fa Zanardelli), compagno nella vita e nella musica. Una coppia con l’attitudine da rapper milanesi scazzati. «Se giro il bomber sembro un Hare Krishna», cantava lei in “Mancarsi” (disco di platino) nel primo sfiziosissimo album “Hype Aura”, sei anni fa che sembrano un secolo. Da allora California il giubbotto non l’ha mai girato, ma l’ha tolto per indossare gli abiti della Maison Valentino sul palco di Sanremo 2025, look curato dal direttore creativo Alessandro Michele con gli stylist Tiny Idols + Pablo Patanè. Un bel salto.

 

Oggi, dopo il successo sanremese di “Cuoricini” (disco di platino), i Coma_Cose sono la fashion couple più glam d’Italia. Sposati, anzi sposatissimi. Con i problemi di ogni coppia, ci mancherebbe, ma tenerissimi. Forse troppo. Di recente hanno lanciato l’album “Vita fusa” e il nuovo singolo “La gelosia”, in occasione del tour estivo che li porta sui palchi dei principali festival italiani. Un calendario fitto di appuntamenti che si concluderà in autunno con due date per i dieci anni di carriera: nei palasport di Milano (27 ottobre, Unipol Forum) e Roma (30 ottobre, Palazzo dello Sport). «Affrontiamo il tour con entusiasmo e consapevolezza. Sul palco portiamo un repertorio misto, per accompagnare il pubblico nei nostri anni di crescita e trasformazione», comincia California.

 

Nel brano “Beach Boys distorti”, nel vostro primo album, cantate: «Mi ripetevi: “Sei uno zero!”. E adesso che a girare finalmente inizia ti dico vaffanculo sì ma in amicizia». Ora invece sulla copertina dell’ultimo disco, “Vita_fusa”, c’è un gattino rosa. Quand’è che siete diventati buoni?

Fausto: «Non siamo diventati buoni, ma grandi. Si cresce, cambiano i codici stilistici, l’estetica. Il pubblico si è spaccato in due perché ci siamo trasformati. Ma ritroviamo la nostra cattiveria e il nostro cinismo anche in “Cuoricini”: è una canzone che fa una fotografia distopica e terrificante della contemporaneità. È diventata l’inno dei bambini ma non era questo l’intento».

California: «Sono d’accordo con Fausto, ne parliamo spesso. In realtà siamo sempre stati buoni (ride), prima lo nascondevamo meglio».

 

Facciamo un passo indietro. Quando avete cominciato la musica indie era potente. Cosa resta di quell’esperienza? 

C: «È stato un momento bellissimo. La musica indie c’è sempre stata e sempre ci sarà. Purtroppo è durata poco ma ci siamo sentiti molto vivi. Se non fosse stato per quegli anni non saremmo qui».

F: «Sotto quella definizione convivevano cose molto diverse tra loro. Qualcosa è sopravvissuto, qualcosa si è evoluto, qualcosa è diventato pop. La grande sconfitta di quella rivoluzione è che con il grande pubblico sono arrivate le major, che però, quando hanno lavorato a supporto della musica, hanno favorito la crescita di tanti progetti. È sempre accaduto, fin dai tempi dei Sex Pistols».

 

Nel titolo del nuovo album, “Vita_fusa”, riaffiora la vena polisemica che avete sempre avuto.  “Fusa” sta per cosa?

C: «Anzitutto le fusa dei gatti. Da qualche anno siamo due gattari, Giuditta e Maurizio sono i nostri spiriti guida di casa e quindi abbiamo dedicato a loro la copertina. Poi “fusa” perché le nostre vite sono fuse, a volte ci sentiamo una sorta di esperimento tipo Grande Fratello. Infine la parola “fusa” richiama il motore “fuso”, quando ironicamente dici: “Abbiamo fatto tutto insieme, ora ricarichiamo le energie”».

 

“Due gatti a Milano” si intitola un’altra canzone. Hanno così tanto spazio i felini nella vostra vita?

F: «Il gatto è una metafora sulla fragilità della convivenza, un escamotage per descrivere la nostra relazione. A volte le canzoni sono inni, modi di darsi speranza».

 

A chi li lasciate quando siete in tour?

C: «C’è la nostra la tata dei mici (sorride) che viene la mattina e la sera e gli dà tutte le loro cure, le terapie, sono gatti delicati. L’altro giorno la tata dei mici mi diceva: “Se stai vicino a Maurizio mentre mangia e gli fai le coccoline lui mangia con più gusto”».

 

Come coppia siete al centro delle vostre canzoni. Come nel caso di “Gelosia”, il nuovo singolo, in cui raccontate un sentimento che può diventare tossico. Che ne pensate?

C: «Alla fine della canzone diciamo che non essere al centro dell’universo è una cosa sana, banale ma sana. Che la gelosia si fotta in qualche modo. Diciamo che siamo persone singole che si incontrano nella vita ma rimaniamo singole. All’inizio di una relazione è un sentimento irrazionale, anche carino, essere gelosi della persona che si ama, dell’amico, dei genitori. Una volta ho chiesto a Fausto: “Ma tu provi gelosia?”. Lui mi fa: “Guarda, la gelosia non so cos’è”».

 

Fausto, hai imparato a essere geloso?

F: «Non percepisco la gelosia dal punto di vista del possesso sentimentale. Se Francesca esce e si innamora del gelataio sotto casa provo un senso di abbandono, di delusione, di fallimento. Ma cosa ci posso fare? Al tempo dei social l’amore può diventare controllo. Forse nelle scuole, oltre all’educazione civica, bisognerebbe insegnare educazione all’uso dei social».

 

Milano torna spesso nelle vostre canzoni. Come è cambiata negli ultimi dieci anni?

C: «È un altro posto. Abito qui da 16 anni, sono cresciuta a Pordenone. All’epoca  ricordo che quando arrivavo in stazione lo skyline era un’altra roba. C’era il Pirellone e stop. E poi Milano è diventata carissima, ho tanti amici che per campare e pagare l’affitto fanno due lavori».

F: «Abitiamo a Milano sud. Era l’ultima zona edificabile della città, un quartiere degli anni Sessanta e Settanta. Ora sta crescendo molto in vista delle prossime Olimpiadi. Milano è sempre stata figa, da sempre siamo una sorta di affaccio sull’Europa ma manteniamo anche una dimensione autentica, quella delle case di ringhiera. Ecco, tutto questo con la gentrificazione si sta perdendo». 

 

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