Gli sprechi del tax credit. L’emorragia delle sale. Le polemiche tra gli attori e il ministro della Cultura. L’industria dell’audiovisivo è ferma. E il dialogo stenta a ripartire. Il confronto tra la regista Francesca Comencini, nel direttivo dell’associazione 100autori, e Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra di Venezia

Cinema in crisi, se la toppa di Sangiuliano e Giuli è peggiore del buco

Se fosse un film il titolo sarebbe “Il pasticciaccio brutto del cinema italiano”. Una storia di sprechi, decreti correttivi firmati ma ancora fantasma, guerre intestine nel governo, udienze del Tar che slittano e incontri interlocutori tra l’esecutivo e i professionisti del settore. Il prossimo è fissato per il 6 giugno tra il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, e i rappresentanti del mondo del cinema, allo scopo di far ripartire il dialogo sul tax credit dopo settimane di polemiche e accuse reciproche sui giornali e sui social. All’indomani dell’attacco del ministro a Elio Germano e Geppi Cucciari, infatti, attori, autori e tecnici hanno scritto a Giuli una lettera aperta firmata da oltre 200 artisti in cui si chiede di «far fronte alla situazione lavorativa e produttiva del cinema italiano». Una missiva diventata un caso politico.

 

Comunque un fatto è certo. La toppa pensata dai due ministri della Cultura del governo Meloni - prima Gennaro Sangiuliano poi Giuli - per limitare il controverso sistema del tax credit che aveva generato sprechi e abusi, finora si è rivelata peggiore del buco. Il beneficio fiscale concesso ai produttori dell’audiovisivo, infatti, oltre a generare sperperi consentiva di produrre film, serie tv, documentari. Faceva girare l’economia. Ora il cinema è fermo, attraversa una crisi profonda, decine di migliaia di lavoratori sono a casa.

 

Per ragionare sui temi del cinema L’Espresso ha invitato a dialogare due figure autorevoli, due big del settore. La regista e sceneggiatrice Francesca Comencini (il suo ultimo film è “Il tempo che ci vuole”), fino a ieri presidente dell’associazione dei registi e sceneggiatori 100autori, oggi nel nuovo direttivo. E Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia fin dal 2012, impegnato con i suoi collaboratori nella selezione delle opere per l’82esima edizione del Festival (27 agosto-6 settembre). «Ogni anno riceviamo più di 4mila titoli tra lungometraggi, documentari, cortometraggi, nelle prossime otto settimane arriveranno 1.500 lungometraggi. Siamo ancora lontano dall’esito finale, ma è probabile che ci sia più di una serie tv italiana», esordisce Barbera, che l’8 giugno parteciperà all’incontro “Il cinema un’isola ad alto potenziale di utopia” nel Memoria Festival a Mirandola, vicino a Modena (in collaborazione con le case editrici del gruppo Mondadori Libri).

Qual è lo stato di salute del cinema italiano?

Alberto Barbera: «Sta attraversando un momento complicato. Durante il Covid il ministero della Cultura aveva deciso di investire nel cinema in maniera consistente. Con effetti positivi e qualche stortura inevitabile, comportamenti in alcuni casi discutibili per non dire riprovevoli. Il nuovo governo ha deciso, forse giustamente, di introdurre correzioni. Il problema è che ci sta mettendo troppo tempo».

Francesca Comencini: «Ci sono stati ritardi normativi che hanno creato sofferenza nel comparto. Ora attraversiamo un momento molto delicato, accolgo gli inviti ad abbassare i toni per trovare insieme soluzioni. Noi autori vorremmo entrare nella discussione in maniera propositiva e siamo consapevoli che i fondi pubblici al cinema, in particolare il tax credit, devono essere sostenibili. Sappiamo che una riforma è necessaria, ma bisogna tener conto di un fatto: da uno studio di Cassa Deposito e Prestiti risulta che per ogni euro investito nel settore cineaudiovisivo se ne creano 3,54 in tutta l’economia italiana, con effetti molto positivi sulla creazione di occupazione. Nel Mezzogiorno l’impatto è quasi doppio. Si tratta di una filiera importantissima, di cui fanno parte 300mila lavoratori».

 

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’incontro con i candidati ai David di Donatello ha parlato di «incertezze normative che non aiutano i produttori indipendenti». Sappiamo che lo scorso aprile il governo ha firmato un decreto correttivo al sistema del tax credit. È un fatto positivo?

F.C: «Vero, esiste un decreto correttivo che tuttavia non abbiamo ancora letto. Adesso però è il momento di essere collaborativi. Tutti. Sono fiduciosa, anzi fiduciosissima perché, quando si è mossi da un amore così passionale per il proprio lavoro e per il Paese, si finisce per trovare una sintesi. Le associazioni 100 autori, l’Associazione nazionale autori cinematografici (Anac) e Writers Guild Italia (Wgi) sono sempre state unite. Con il governo c’è stato un dialogo tardivo, ma quando c’è stato si è rivelato proficuo, soprattutto sulle linee guida che comprendono l’intelligenza artificiale per accedere al tax credit. Il dialogo con la sottosegretaria Borgonzoni è stato soddisfacente su questo punto».

A.B.: «Le grandi produzioni riescono ad andare avanti perché possono contare su finanziamenti propri, non sono costrette ad aspettare norme precise sull’applicazione del tax credit. Per i piccoli produttori indipendenti, invece, la situazione è davvero complicata. Si è passati da un livello di piena occupazione alla disoccupazione per la maggior parte degli addetti del settore. Malgrado tutto questo esistono eccezioni estremamente positive. A giudicare dalle opere che stanno arrivando al Festival, si assiste alla conferma di grandi autori e a un ricambio generazionale, invocato da anni e necessario per ogni industria che voglia restare al passo coi tempi».

 

A proposito di novità, l’intelligenza artificiale è una minaccia o un’opportunità?

F.C: «È un tema cruciale perché riguarda il lavoro di attrici e attori, autrici e autori. Può diventare una minaccia per il nostro lavoro e riguarda anche lo spirito umanistico del nostro cinema».

A.B.: «È un’opportunità. Uno strumento straordinario, estremamente innovativo, con potenzialità enormi ed elementi di criticità, servono leggi che ne impediscano l’uso distorto a danno degli operatori del settore, artisti e tecnici. La tecnologia di per sé è neutra, dipende dall’uso che se ne fa».

 

Per il 2025 lo Stato investe nel cinema circa 700 milioni di euro. Una delle critiche ricorrenti, rilanciate dalla stampa di destra, è che molti film finanziati non li vede nessuno.

F.C: «Il discorso è molto complesso. Anzitutto tengo a sottolineare che i fondi pubblici non sono sovvenzioni al cinema, ma vengono stanziati in nome dell’eccezione culturale. Concetto universalmente condiviso in Europa in base al quale la cultura, di cui fanno parte il cinema e l’audiovisivo, non è una merce qualsiasi ma possiede un valore proprio. Detto questo, se c’è stato un uso non consono del tax credit vogliamo collaborare affinché questo non avvenga in futuro, come cittadini e cittadine prima che come autori e autrici. Ma occorre anche dire che, oltre al successo, anche il fallimento al botteghino delle nostre opere è fisiologico e ha riguardato i più grandi autori del cinema di tutti i tempi. Il cinema non può essere terreno di scontro politico, è un bene comune di questo Paese».

A.B.: «C’è un errore di prospettiva: non si considera che oggi la vita di un film non finisce con l’uscita in sala. Questa infatti segna solo l’inizio e spesso rappresenta una parte non consistente del ritorno economico per il produttore. La vita di una pellicola, infatti, da un lato si è accorciata: se guardiamo al circuito tradizionale delle sale dura poche settimane. Dall’altro si è allungata: le piattaforme e altre modalità di distribuzione moltiplicano le possibilità di ritorno economico per i produttori».

 

In questa situazione di incertezza normativa sono i piccoli a soffrire di più. Sarebbe possibile oggi produrre film indipendenti come “Vermiglio” di Maura Delpero, pluripremiato allo scorso Festival di Venezia (Leone d’argento) e agli ultimi David di Donatello?

F.C: «L’esempio di “Vermiglio” è lampante, i film indipendenti sono l’essenza del cinema italiano, senza ovviamente escludere le grandi produzioni. Penso all’esempio del cinema francese, un modello a cui guardare. È una industria fortissima, che traina come una locomotiva esordi autoriali e film indipendenti meravigliosi. Il cinema è un enorme mare in cui bisogna fare in modo, attraverso le leggi, che il pesce grande non mangi il pesce piccolo».

A.B.: «Se non si risolve in fretta questa situazione di difficoltà alcune piccolissime case di produzione saranno probabilmente destinate a scomparire. Siamo di fronte a una ciclicità, appena il sistema di aiuti si rimetterà in piedi il cinema ripartirà. Ripartiranno i produttori indipendenti e ne nasceranno di nuovi».

 

Ora torna “Cinema Revolution”, iniziativa promossa dal ministero della Cultura per l’estate. A partire dal 13 giugno, il biglietto per vedere i film italiani ed europei nelle sale aderenti costerà solo 3,50 euro. Bastano queste iniziative per salvare le sale?

A.B.: «Le sale seguono un modello di sviluppo ancorato al passato. Alcune vanno benissimo, la maggioranza va male. Bisogna cambiare il concetto di sala, organizzare incontri con gli autori con il pubblico, con i critici. Trasformarle in centri culturali polivalenti, sul modello che funziona in altri Paesi».

F.C.: «Le sale sono la cartina di tornasole del nostro tempo. E le opere non possono essere misurate solo sul numero di copie vendute e di spettatori in sala, così come la qualità dei politici non si valuta solo sui voti. Le sale sono importantissime e meriterebbero una riflessione a livello normativo. I cinema che sanno trasformarsi vivono meglio. Tanti anni fa, a fare da apripista, fu Nanni Moretti con il Nuovo Sacher, oggi in Italia abbiamo tanti esempi straordinari: a Roma il cinema Troisi, a Bologna il cinema Modernissimo, il Cinemazero a Pordenone, il PostModernissimo a Perugia».

 

Il governo Meloni vuole mettere a tacere il mondo della cultura?

A.B.: «Penso che sia il caso di abbassare i toni, tutti sono consapevoli  che il cinema può essere uno strumento straordinario al servizio del Paese. Basti pensare a cosa è stato il cinema americano rispetto alla capacità degli Stati Uniti di imporre un modello di successo in tutto il mondo. Ma anche il cinema italiano l’ha fatto nel dopoguerra, quando era il più visto, più distribuito e di maggior successo dopo quello hollywoodiano. Oggi non funziona più come allora, ma non è detto che non possa funzionare di nuovo».

F.C.: «Non lo voglio pensare, sono del tutto fiduciosa che non sia così. Non posso fare altro, se vuoi bene al tuo Paese e al cinema devi essere ottimista. È un po’ come la scommessa del filosofo francese Blaise Pascal. Dice “Non lo so, ma io scommetto di credere in Dio”, ecco io faccio la stessa cosa. Mi piace ricordare che il fondatore del concetto di ministero della Cultura è stato André Malraux, il grande scrittore e membro del governo del generale de Gaulle, in Francia, alla fine degli anni Cinquanta. Un esecutivo moderato di destra, conservatore. Bene, Malraux è stato un grandissimo ministro della Cultura».

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