Cultura
14 luglio, 2025Nel 1955 il Regno Unito condannava a morte una donna di 28 anni. Non fu solo un’esecuzione, ma uno spartiacque culturale che mise a nudo il volto più rigido e ipocrita della giustizia britannica
La pena di morte nel Regno Unito
Siamo abituati a pensare alla Gran Bretagna come a una nazione all’avanguardia: culla del parlamentarismo, del garantismo liberale, dell’avanguardia sui temi sociali. Ma c’è una pagina della sua storia recente che suona decisamente stonata, soprattutto se paragonata a quella italiana. Se in Italia la pena di morte, salvo la parentesi buia del ventennio fascista, era già stata abolita nel 1889 con il Codice Zanardelli, nel Regno Unito rimase in vigore fino agli anni Sessanta. Il 13 luglio 1955, Ruth Ellis fu l’ultima donna ad essere condannata a morte. Ventottenne, madre, modella, ex receptionist in un night club. Venne giustiziata nel carcere di Holloway per aver ucciso il suo amante con cinque colpi di pistola. Quella forca avrebbe segnato un punto di rottura. Non solo per la storia penale del Regno Unito, ma per l’ipocrisia di un Paese che condannava con rigore, ma non sapeva ascoltare. Ruth non era solo un’assassina. Era una donna pestata, umiliata, lasciata sola, e la sua morte ha lasciato aperte più domande di quante la giustizia ufficiale abbia mai saputo affrontare.
Una storia di abbandono e violenza
Ruth Ellis non era la tipica moglie da salotto inglese. Nata in Galles nel 1926 da padre musicista e madre rifugiata belga, era la terza di sei figli. A 18 anni era già a Londra, sola, con una figlia avuta da un soldato canadese. Ballerina nei night club, modella, protagonista di un’esistenza frenetica e segnata da relazioni complesse. Nel 1950 sposò il dentista George Ellis, ma anche quel matrimonio finì male: lui non riconobbe la figlia che ebbero insieme, e Ruth tornò alla vita notturna. Nel 1953 incontrò David Blakely, l’uomo che l’avrebbe portata al patibolo. Una relazione tossica, violenta, fatta di gelosie, tradimenti e botte. Ma, all’epoca, questi abusi non avevano ancora un nome tanto meno uno spazio nei tribunali.
Il delitto: cinque colpi e una folla fuori dal pub
La sera del 10 aprile 1955, Blakely si rifiutò di vederla. Ruth, convinta che lui avesse un’altra relazione, si fece accompagnare da un altro amante, Desmond Cussens, al Magdala Pub di Hampstead, dove David era con alcuni amici. Non è chiaro cosa accadde quella notte: quando Blakely uscì dal locale lei gli sparò. Due colpi mentre cercava di allontanarsi, altri quattro mentre era a terra, uno dei quali ferì una passante. Ruth Ellis fu immediatamente arrestata da un poliziotto fuori servizio. Appariva calma, lucida, sobria. Confessò subito. Nessuna fuga, nessun alibi, nessuna sceneggiatura difensiva. Solo una realtà nuda: aveva ucciso.
Il processo, una condanna già scritta
Processo lampo. Ruth venne ascoltata già il lunedì successivo e trasferita alla prigione di Holloway. Gli psichiatri esclusero qualunque infermità mentale. Il 20 giugno iniziò il dibattimento all’Old Bailey: da una parte Christmas Humphreys per l’accusa, dall’altra una difesa che non aveva argomentazioni valide, se non la speranza di un’ammissione di colpa ridotta a reazione disperata. Ma bastò una sola frase per spegnere ogni possibilità: “È ovvio che quando gli sparai volevo ucciderlo.” Pochi minuti di camera di consiglio, e la giuria restituì il verdetto: colpevole di omicidio premeditato. Alla lettura della sentenza di morte, Ruth Ellis pare non abbia mostrato la minima reazione.
L’esecuzione: una cerimonia silenziosa
Durante le tre settimane precedenti l’esecuzione, Ruth ricevette visite dai familiari, dagli avvocati, da un vescovo. Fino all’ultimo si tentò una grazia. L’opinione pubblica era spaccata, ma compatta nel chiedere almeno una sospensione. Nulla da fare. La mattina dell’11 luglio arrivò una telefonata (rivelatasi falsa) che annunciava un improbabile intervento dell’Home Secretary. Alle 9:01, Albert Pierrepoint, il boia di Sua Maestà, entrò nella cella. Ruth fu accompagnata al patibolo. Non disse nulla. Cappuccio bianco, cappio, leva. Tutto durò una decina di secondi. Alle 9:18 fu affisso il cartello: “Ruth Ellis è stata giustiziata”.
Un’eredità ancora scomoda
La storia di Ruth Ellis ha continuato a tormentare il Regno Unito per decenni. Nel 1985 Mike Newell le dedicò il film Ballando con uno sconosciuto, con Miranda Richardson e Rupert Everett: presentato a Cannes, vinse premi e rilanciò una discussione mai davvero chiusa: quella sul ruolo della donna, sulla giustizia cieca e sulla violenza che si preferisce non vedere. Nel 2003 fu presentata una mozione parlamentare per chiedere la revisione del caso. Troppo tardi, certo, ma forse non del tutto inutile. Ruth Ellis non è un’eroina, e non fu di sicuro una vittima innocente. Tuttavia, la sua morte ha segnato un prima e un dopo. La pena di morte venne sospesa nel 1965 e poi abolita, ma la sua impiccagione resta come una crepa aperta nella coscienza giuridica britannica.
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