Cultura
29 luglio, 2025Usciva nel 1965 il film di Luigi Bazzoni e Franco Rosselli sui delitti avvenuti tra il 1933 e il 1946 nelle Dolomiti bellunesi. Dopo un’incredibile inchiesta, furono condannate quattro persone. Ma fra le montagne aleggia ancora qualche dubbio
Sessant’anni fa Virna Lisi vestiva i panni di una cameriera di montagna, bella e sfuggente, che finiva uccisa nel silenzio ovattato di un albergo sul lago. Era il 1965 quando La donna del lago, firmato da Luigi Bazzoni e Franco Rossellini, portava nel cinema italiano una nuova forma di inquietudine: un giallo rarefatto, sospeso tra eros e colpa, dove la bellezza dei paesaggi alpini fa da cornice a una storia di ossessioni e fantasmi. Ma dietro la finzione, aleggia un’eco ben più reale: quella dei delitti di Alleghe, una serie di omicidi avvenuti nel cuore delle Dolomiti tra il 1933 e il 1946, che per anni rimasero sepolti sotto l’apparenza del perbenismo e dell’omertà.
La donna del lago è forse il primo tentativo di tradurre in immagini quel buio italiano che non nasce nei grandi centri urbani, ma nei margini silenziosi della provincia. Un cinema che guarda in faccia l’ambiguità sociale e la violenza domestica, molto prima che questi temi diventassero comuni nel linguaggio culturale del Paese. Il film, pur non essendo una ricostruzione fedele dei fatti, riesce a catturarne lo spirito. I delitti di Alleghe non sono solo inquietanti per l’efferatezza degli omicidi. Alcune responsabilità rimangono ancora oggi avvolte da una nebbia impenetrabile. Nonostante furono ben quattro i condannati, un’intera famiglia e un complice, qualche dubbio aleggia ancora fra le montagne.
Un morto dopo l’altro
Il 9 maggio 1933, Emma De Ventura, cameriera dell’albergo Centrale di Alleghe, fu trovata morta in una stanza dell’hotel. I proprietari parlarono subito di suicidio, ipotesi sostenuta anche dal parroco e dal medico condotto. Si disse che la ragazza avesse ingerito tintura di iodio e, per il dolore, si fosse tagliata la gola con un rasoio. Ma qualcosa non tornava: la bottiglietta era chiusa, posata su un mobile, e il rasoio si trovava lontano dal corpo. Nonostante queste incongruenze, l’autopsia confermò la presenza del veleno nello stomaco e il caso fu archiviato in fretta, senza ulteriori indagini.
Il 4 dicembre dello stesso anno, anche Carolina Finazzer, giovane moglie di Aldo Da Tos (fratello di Adelina), muore in circostanze misteriose. Viene trovata annegata nel lago di Alleghe. Si ipotizza un suicidio dovuto a depressione o sonnambulismo. Sul corpo ci sono lividi, ma vengono attribuiti a normale decomposizione. Anche questa volta, il caso viene chiuso rapidamente come morte accidentale.
L’omicidio dei coniugi Del Monego
Il 18 novembre 1946, sotto la pioggia e nel silenzio di un vicolo stretto, Luigi e Luigia Del Monego vengono freddati a colpi di pistola mentre rientrano a casa dopo aver chiuso il loro negozio. Nessuno sente nulla, nessuno vede nulla o almeno così sembra. Il borsello con l’incasso sparisce, insieme agli orecchini di lei: tutto fa pensare a una rapina, forse un regolamento di conti. Le indagini si muovono in fretta ma senza convinzione. Un latitante viene arrestato e poi prosciolto. E così anche questo duplice omicidio, il più efferato della serie, viene archiviato in fretta, catalogato tra i misteri senza nome, e lasciato scivolare nell’ombra.
L’inchiesta segreta
Fu solo negli anni Cinquanta che la verità cominciò a riaffiorare, grazie al fiuto e all’audacia del brigadiere Ezio Cesca. Dopo aver letto un articolo del giornalista Sergio Saviane, Cesca ottenne il via libera per indagare ma decise di farlo a modo suo: si finse operaio e si infiltrò ad Alleghe sotto copertura, confondendosi tra i muratori e i frequentatori delle osterie. Lì, tra un bicchiere di vino e una partita a carte, raccolse voci, sospetti e confidenze, fino ad avvicinare Giuseppe Gasperin, uno degli uomini che ruotavano attorno al mistero. Per arrivare a una testimone chiave, l’anziana Corona Valt, Cesca fece qualcosa che sembrava uscito da un romanzo spionistico: si finse innamorato della nipote e iniziò una relazione con lei. Solo così riuscì a conquistare la fiducia della donna, che una sera gli rivelò ciò che nessuno aveva mai osato dire: la notte dell’omicidio dei coniugi Del Monego, aveva visto tre uomini nel vicolo, e uno di loro era proprio Gasperin. A quel punto, il brigadiere tese la trappola: propose a Gasperin di unirsi a un affare “per gente che sa sparare”, e lui abboccò, vantandosi di aver già ucciso. Da lì partì la confessione, e con essa l’arresto dei fratelli Aldo e Adelina Da Tos, di Pietro De Biasio e dello stesso Gasperin: una verità rimossa per quasi vent’anni tornava finalmente a galla.
Il processo, le condanne e i dubbi
Nel 1960, il caso esplode con un processo clamoroso. Vengono arrestati e condannati Adelina Da Tos, Aldo Da Tos, Pietro De Biasio (marito di Adelina) e Giuseppe Gasperin. La verità è venuta finalmente a galla, ma molti dettagli restano oscuri, a partire dal corpo mai ritrovato del figlio illegittimo. Alleghe diventa così il simbolo del male nascosto nella normalità, dove l’onore familiare conta più della vita, e il silenzio è la regola. Eppure, nonostante la portata clamorosa del processo, non mancarono (e non mancano ancora oggi) dubbi sulla solidità dell’impianto accusatorio.
Lo storico e giornalista Toni Sirena, nel suo libro I delitti di Alleghe – Le verità oscurate, sottolinea come le indagini dell’epoca furono segnate da pesanti lacune investigative e da una fiducia forse eccessiva nelle confessioni degli imputati. Queste ultime, infatti, furono ritrattate più volte, e gli stessi accusati denunciarono interrogatori estenuanti e pressioni psicologiche che li avrebbero indotti a confessare. Secondo Sirena, mancano prove concrete, i presunti moventi risultano deboli o inconsistenti, e le testimonianze chiave appaiono fragili o contraddittorie. Una verità giudiziaria, quindi, venne raggiunta e si trasformò in sentenza, ma la verità storica resta tutt’altro che definitiva.
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