Cultura
25 luglio, 2025Passioni, droghe, cavalli volanti. Geniale e imperfetto, tra scene da thriller e passi di danza, “El jockey” fotografa un mondo in divenire
Un fantino che si droga come un cavallo. Una Buenos Aires senza tempo affollata di vecchi gangster ripugnanti e malinconici (il boss fa di cognome Sirena, tanto per ricordarci che tutto qui è ibrido, metamorfico, prodigioso). Una storia quasi-thriller inframmezzata da un paio di folgoranti numeri di danza che esprimono sentimenti e conflitti meglio di qualsiasi dialogo. Un regista che cavalca non meno spericolatamente tra mondi diversi evocando ora Lynch, ora Kaurismäki (a cui prende in prestito il direttore della fotografia Timo Salminen). Anche se, come qualcuno forse ricorda, l’eclettico Luis Ortega ha uno stile tutto suo, e dai tempi di “L’angelo del crimine” è considerato uno dei grandi talenti del cinema argentino.
Curioso, semmai, che per vedere il mirabolante “El Jockey”, uno dei titoli più bizzarri scoperti in Concorso a Venezia 2024, ci sia voluto quasi un anno, ma si sa che il mercato è sempre più refrattario a ciò che sfugge a generi e categorie riconoscibili. E dunque ecco Remo Manfredini, fantino di molti eccessi e poche parole (Nahuel Perez Biscayart, minuscolo solo nella corporatura, uno dei pochi attori al mondo capace di affrontare con grazia e autorevolezza il “viaggio” richiesto dal ruolo), amare sempre meno riamato la collega Abril (la magnetica Ursula Corbero). Tanto da gettarsi letteralmente al galoppo nella classica spirale autodistruttiva, fino a sparire e - sempre letteralmente - rinascere, non diremo come. Mentre i tagliagole di Sirena gli danno la caccia. E le telecamere di sorveglianza disseminate nella capitale registrano gli sguardi di una misteriosa figura che ricorda molto il fantino scomparso, se non fosse che...
Sospeso tra i colori sgargianti degli ippodromi (il cavallo giapponese di nome Mishima ispira una scena aerea memorabile) e i desideri più o meno inconfessabili di rinascita e trasformazione covati non solo dal fantino, “El Jockey” sconta forse un eccesso di ambizioni che unito alla stravaganza (e alla potenza) delle immagini gli ha messo contro la critica prescrittiva, sempre maggioritaria.
Ma se è vero che il racconto procede in modo troppo originale perché l’inventiva visiva generi sempre pari intensità emotiva, è difficile non pensare che “El Jockey”, con “Ema” del cileno Larrain e pochi altri, è uno dei grandi film sulla ridefinizione epocale di ruoli e generi che stiamo attraversando. Capace di convocare le mitologie più diverse, cinematografiche e no, per dare forma a un sentimento oscuro quanto perentorio del presente. Imperfetto, senz’altro. Ma a suo modo da non perdere.
Il film
El Jockey
di Luis Ortega,
Argentina, 96’
Azione! E stop
L’Africa? Sì grazie. Succede al Festival di Locarno (7-12 agosto), che dopo Caraibi e America Latina dedica a 42 Paesi africani il 23mo “Open Doors”, a sostegno di coproduzioni e nuovi talenti. Mentre “Fuori orario”, Raitre, programma un inedito del grande senegalese Djibril Diop Mambety, “Badou Boy” (20 luglio, ore 1.40).
Il Totovenezia impazza e Barbera perde le staffe. Quali italiani saranno in gara? E chi resterà fuori? Pietro Marcello o Luca Guadagnino? Franco Maresco o Leonardo Di Costanzo? Gianfranco Rosi o Laura Samani, regista-rivelazione di “Piccolo corpo”? Come sempre a luglio le voci corrono. E il direttore, invano, invoca riserbo.
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