Cultura
12 settembre, 2025Dopo anni di studi, dopo molti libri sul pensiero antico, lo scrittore dedica un romanzo al filosofo più grande di tutti. Capace di sollevare interrogativi attualissimi
Di due uno. Fare di due uno. Questo è l’amore. Due e uno, da due uno solo. Unirsi per sempre. Non posso dirlo che per enigmi”.
“Platone. Una storia d’amore” di Matteo Nucci (Feltrinelli) è uno dei più grandi gesti d’amore della letteratura italiana contemporanea. La storia di un colpo di fulmine nato sui banchi di scuola, che diventa passione negli anni dell’università, che resiste come un’ossessione quando l’autore comincia a scrivere: “Sono comuni le cose degli amici” (Ponte alle Grazie), il libro con il quale Nucci esordì nel 2009 ed entrò nella cinquina del Premio Strega, prendeva in prestito un proverbio del “Fedro” di Platone. Una sua edizione del “Simposio” uscì nel 2014 per Einaudi. A Platone è tornato nel 2018 con “L’abisso di Eros” e, nel 2023, con il titolo della novella fiabesca dedicata alla piccola Arianna, per consolare un forte dolore del cuore: “Sono difficili le cose belle” (HarperCollins Italia). Oggi arriva la biografia definitiva: quasi 600 pagine, che ricostruiscono la vita e il pensiero del filosofo, dalla nascita alla morte. In un viaggio tridimensionale che va oltre l’esistenza di Aristocle detto Platone per via delle ampie spalle; ma esce dalle pagine e immette in un’epopea collettiva di uomini e donne in cammino, alla ricerca d’infinito.
«In Platone c’è tutto», esordisce senza esitazione lo scrittore: «Il matematico-filosofo di fine Ottocento Alfred Whithead disse: “La storia della filosofia occidentale è la storia delle note a margine al pensiero di Platone”. E in un certo senso è vero, Platone è immenso, complesso, contraddittorio: c’è in lui tutto e il contrario di tutto. Tant’è che ognuno ha il suo Platone. Ma non scordiamoci del sogno che lui stesso fece alla fine dei suoi giorni».
Ce lo ricordi.
«Sognò di essere diventato un cigno, l’animale che gli è sempre abbinato. Lo inseguivano degli uomini per acciuffarlo e metterlo nelle loro reti, ma non riuscivano. Il significato? Ognuno cerca di conquistare il suo Platone, di afferrarne il pensiero, ma Platone vola via».
Sfugge, profetizza il sogno. Eppure Platone è simbolo potente del pensiero filosofico occidentale.
«Almeno nella sua essenza. Oggi no, oggi quel pensiero fatto di senso critico, di domande, di apertura si è perso. Platone è infinito, come sanno tanti grandi studiosi alle prese con la sua opera, talmente ricca, talmente stratificata da suscitare interrogativi attualissimi».
In cosa è attualissimo?
«Nelle questioni che pone. La vita degli esseri umani è sempre quella. Ciò che contano di più sono giustizia e felicità».
La consapevolezza della grandezza di Platone arriva da lontano, dai suoi studi nelle aule di Filosofia, all’Università di Roma. “Ho iniziato a pensare il romanzo della vita di Platone più di trent’anni fa nelle stanze del Centro per il Pensiero Antico a Villa Mirafiori”, ha scritto: “Ho trovato la chiave il 22 maggio 2019 a Ravenna e ho cominciato a scriverlo il 29 febbraio 2020 fra Atene e Roma su un aereo vuoto per la pandemia montante. L’ho chiuso il 13 febbraio 2025 fra Roma e Atene su un aereo zeppo per l’overtourism ai tempi del genocidio”. Che cosa la colpiva tanto di questo filosofo?
«Già a scuola mi aveva impressionato la sua Teoria delle Idee e mi aveva colpito il suo modo “strano” di scrivere. All’Università ho cominciato a leggere i Dialoghi. E sono grato al professore Gabriele Giannantoni che in un pomeriggio di settembre del 1989 entrò nell’Aula XIII di Villa Mirafiori, aprì un libro azzurrino della Bibliotheca Oxoniensis e inizò a leggere il “Gorgia”: in greco, nel silenzio assoluto, seducendomi definitivamente e per sempre».
Un sortilegio…
«Sì. Nessuno capiva niente eppure tutti stavano ad ascoltare quella magia. Dopo, il professore ha cominciato a tradurre e a spiegare. E immediatamente abbiamo percepito che dentro quelle parole c’era qualcosa di immortale che ti interrogava, che chiedeva anche a te delle risposte. L’amore per lui è iniziato certamente così».
Perché allora ha fatto passare tanti anni, prima di scrivere questo romanzo? Serve vita per realizzare un’opera così straordinaria?
«Dovevo raffinare gli strumenti, prima di mettermi al lavoro. Studiare e approfondire Platone, ovviamente. Ma anche disporre di strumenti della narrazione che sono il risultato di anni e anni di scrittura. Questa non è una biografia, ma un romanzo fatto di diversi registri stilistici: uso la terza persona, la prima, il passato, il presente, flussi di coscienza. Ho impiegato cinque anni a scriverlo».
Il risultato è “una storia di date, numeri e soprattutto amore”. Perché le date contano?
«Le date scandiscono, passo dopo passo, la vita di Platone. Ma in lui i numeri sono importantissimi. Nasce il giorno 7 del mese di Targelione, il 7 è lo stesso giorno in cui Leto diede alla luce Apollo, e muore a 81 anni. Il libro è costituito in ogni parte da sette grandi capitoli, e ogni capitolo, a sua volta, è formato da sette capitoletti. Questi sette capitoli si ripetono nelle tre parti – più due, l’introduzione e la conclusione. In totale i capitoli sono 161, numero dispari perché dispari è anche il numero dei capitoli».
Un’architettura complessa, razionale. In realtà la grande bellezza del libro è aver restituito ai lettori di oggi un Platone in carne e ossa: uomo pensieroso, con fragilità irrisolte. E con pesanti sconfitte con le quali fare i conti: come il senso di inadeguatezza che gli resta quando non riesce a salvare Socrate o quando non trova le parole giuste davanti a Dionisio, il tiranno di Siracusa.
«Platone non era un dio, per quanto tutti lo considerassero divino. È uno che ha fatto errori, che spesso non sapeva essere incisivo. In fondo, lo ammette lui stesso col mito della caverna: il filosofo torna nella caverna perché deve convincere quelli che si sono assuefatti alle ombre. Ma i suoi occhi si sono abituati invece al sole, quindi tra le ombre si perde: perde il momento giusto».
Da cosa ha ricavato altre impressioni sulle quali insiste: per esempio, che tutti fossero invidiosi di Platone?
«Platone spesso ci lascia immaginare aspetti della sua personalità e ci fa vedere momenti della sua vita. Però è chiaro che ho colmato ciò che non sappiamo col mio sguardo: e ho sempre avuto l’impressione di un uomo assillato dai pensieri. Dell’invidia che gli aleggia intorno, in realtà, parla lui stesso, essendo uno che spiccava per intelligenza, per bellezza fisica, per eleganza. Quando arriva tra gli allievi di Socrate, il maestro lo preferisce a tutti: immagini quanta invidia. Che l’invidia muova il mondo lo dice spesso, quindi deve averla sofferta parecchio».
Un altro aspetto che balza vivido dal suo romanzo è l’estrema concretezza del filosofo: in lui la ricerca della bellezza non è per niente astratta. Dà vita a forme utili, ad architetture funzionali. Altro che distanza del pensatore dalle cose terrene.
«Il fondatore dell’Accademia più importante dell’antichità era meticoloso fino al maniacale verso gli aspetti pratici. Era un ossessivo, interessato alle cose nella nella loro realtà pratica. Nella tradizione c’era un’idea diversa: se si osserva il celebre affresco di Raffaello “La scuola di Atene”, Aristotele è generalmente visto come l’uomo più legato a questo mondo, alla terra; Platone no: è raffigurato con il dito verso il cielo. Quando invece era l’uomo che, persino stanco e ammalato, durante la costruzione dell’Accademia, usciva di casa e andava a controllare i lavori, chinandosi a studiare il sistema di scarico, a controllare che la fontana per la pulizia di chi si allenava in palestra fosse adatta all’uso».
Questa cura verso i dettagli, che ha ricostruito nel romanzo, dimostra quanto la biografia di una persona sia fondamentale per capire perché il pensiero vada in una certa direzione. Decisiva in tal senso è un’altra cosa che affascina chi legge: il mondo in movimento che lei racconta. Si viaggia di continuo, il confronto è ritenuto fondamentale, c’è una formidabile circolazione di idee. Platone va a Taranto, in Egitto, tre volte a Siracusa.
«I viaggi avevano un’importanza fondamentale. I sapienti antichi viaggiavano tantissimo. In tempi nei quali era anche difficilissimo: per andare da Atene a Siracusa impiegavi per mare due settimane e ogni volta era un rischio. Ma certamente era un mondo apertissimo agli incontri. Platone è consapevole dell’importanza e dei pericoli di questo scambio, perché il confronto con gli altri, come a lui è capitato e come racconta nei Dialoghi, può metterti seriamente in crisi. Farti cambiare idea e anche in meglio».
Il filosofo vive amori fisici intensi, tutt’altro che “platonici”, maschili. Ma il libro è popolato anche di donne, da Aspasia moglie di Pericle a Axiothea, studentessa dell’Accademia. Di loro scrive: “Solo una donna può capire l’amore. Solo una donna può conoscere i misteri dell’amore, solo una donna può far brillare la verità”.
«Non è un caso che nel “Simposio”, il Dialogo erotico per eccellenza, la parola “amore” sia affidata a una donna, una sacerdotessa. Platone amava gli uomini. Ma presumo che avesse anche amato donne in gioventù e in ogni caso le donne nella sua vita erano decisive: dalla madre alla sorella, dalle donne che incontra nei suoi viaggi a quelle che entrano nell’Accademia».
Per quanto travestite da uomo, il libro mette in luce anche questo: la presenza di donne nella mitica Accademia.
«Un fatto che nessuno ricorda è che Platone nella “Repubblica” sostiene fortemente la parità dei sessi. Sia maschi che femmine possono entrare nella sua scuola perché sia uomini che donne possono conoscere il bene e diventare filosofi, sia uomini che donne possono diventare governanti della città ideale. C’è una totale parità nella “Repubblica”. Ci sono tre rivoluzioni che il testo promuove: la prima è, appunto, la parità dei sessi; la seconda è l’abolizione della famiglia, nucleo che crea troppo amore per il privato rispetto al pubblico; la terza è che il filosofo deve governare».
A proposito di forme di governo, la democrazia delude Platone quando condanna a morte Socrate. I fatti della sua vita mettono continuamente alla prova le sue idee. E lo portano in altre direzioni.
«È vero, lo delude. Ma l’oligarchia, subito dopo, gliela fa rimpiangere. In realtà Platone, se lo leggiamo attentamente, dà delle risposte di una modernità sbalorditiva. Per esempio, dice chiaramente che la democrazia quando diventa stanca e radicale, come quella che stiamo vivendo, prepara la tirannide».
Secondo lei, oggi il mondo avrebbe bisogno di più filosofi?
«Diciamo che oggi il filosofo è molto diverso da come era anticamente: una persona che, secondo l’etimologia della parola, amava il sapere, non smetteva mai di interrogarsi sulla sapienza, nutriva un'autentica passione per la giustizia e per un mondo in cui poter essere felici. Proprio oggi ho letto di gente come Tony Blair che pianifica, da consigliere di Trump, i resort da realizzare a Gaza… Scusi, sto divagando».
Non divaga: in questi anni lei non ha mai smesso di denunciare gli orrori di Gaza. E l’ingiustizia della contemporaneità è sotto gli occhi di tutti.
«Il mondo è in mano a pochi uomini e le ricchezze del globo sono concentratissime. Che cosa deve fare un filosofo? Deve battersi per la giustizia: e questo è il primo insegnamento di Platone».
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