Cultura
2 settembre, 2025Cinque anni fa moriva una delle personalità più eccentriche e geniali del mondo culturale. Eppure la sua memoria è diventata subito rarefatta
Di sicuro, in molti obietteranno: sono stati molti gli articoli pubblicati per segnalare la sua scomparsa o per ripercorrere la sua esperienza umana e culturale. Si può rintracciare persino qualche speciale televisivo anche se ben presto accantonato. Eppure, tutto ciò non sembra abbastanza convincente per fugare la sensazione che Philippe D'averio sia caduto nel dimenticatoio.
Il momento storico in cui è deceduto non ha aiutato. Il critico d’arte si è spento il 2 settembre del 2020, nel pieno dell’emergenza Covid. Quei funerali, camera ardente nella Pinacoteca di Brera, passarono abbastanza in sordina. Così, a poco a poco, la figura di Daverio è svanita. Non solo fisicamente ma anche nella memoria collettiva. Per non parlare di come sia sostanzialmente ignorato nel dibattito intellettuale italiano che sembra preferire altri oracoli, spesso decisamente non all’altezza.
Pochi possono vantare l’eclettismo di Philippe Daverio: docente, gallerista, scrittore, critico d’arte, conduttore televisivo, politico. In ognuno di questi ruoli è stato un interprete credibile. Parlare di damnatio memoriae sarebbe eccessivo ma questo oblio sostanziale è innegabile e non sembra esserci un motivo codificabile. O forse c’è.
Un milanese nato a Mulhouse
Un’altra obiezione possibile alla nostra sensazione potrebbe essere l’inserimento nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano (lo spazio dedicato a ai milanesi che hanno avuto particolari meriti). Per molti un onore sufficiente, per altri non abbastanza. Certamente un posto più che meritato considerando che Daverio, milanese, “non lo nacque” come avrebbe detto Totò. Era di Mulhouse, in Alsazia, nato nel 1949 da padre italiano e madre alsaziana. Sceglie di diventare milanese solo negli anni Sessanta. Quando arriva, la città è in pieno contestazione studentesca. Philippe Daverio indossa il papillon e giacca sartoriale, un dandy fuori moda già all’epoca. Ma guai chiamarlo borghese: lui studia, dà gli esami, ma non si laurea. Nel 1975 è già un gallerista abbastanza affermato , il suo spazio dedicato alle avanguardie di primo Novecento è in Via Montenapoleone. Nell’86 apre i battenti a New York e nell’89 fa il bis a Milano con un’altra galleria in Corso Italia.
Un genio della comunicazione : dalla politica alla televisione
Dal 1993 al 1997 Daverio ricopre il suo primo incarico politico nella giunta Formentini come assessore. Poi nel 1999 la svolta: inizia come inviato su Rai 3 nel programma Art’è ma diventa una vera celebrità dal 2001, con il programma Passpartout. Sicuramente il suo esperimento divulgativo più riuscito, un programma che ha riscritto i codici della comunicazione culturale. Abbigliamento al limite della caricatura, una prosodia efficiente e un’erudizione notevole (per quanto a volte disorientate), lo avevano reso subito un volto noto al grande pubblico.
Un talento per la comunicazione (con qualche polemica)
Negli anni, all’attività televisiva si erano affiancate collaborazioni con quotidiani e riviste ma anche una produzione di libri ben ritmata. Indimenticabili le tante lectio magistralis in giro per l’Italia dove dava dimostrazione del suo immenso talento comunicativo. Talento che si esprimeva anche attraverso un linguaggio libero, occasionalmente provocatorio ma mai in modo gratuito. (Indimenticabile la frecciatina a Giulia Innocenzi su La7 “amo anche le oche che non si mangiano”ndr). Correva l’anno 2016, prima che la Controriforma in chiave politically correct si impossessasse dei media. Nel 2019, ricevette minacce in seguito alla vicenda del “Borgo dei Borghi” (il voto di Daverio in giuria fece conquistare il titolo a Bobbio anziché Palazzolo Acreide, in Sicilia). Il critico d’arte ne rimase sconvolto e amareggiato tanto da dichiarare “non amo la Sicilia” e che i cannoli “ricordavano la canna di un fucile”. Fu costretto a scusarsi pubblicamente, già nel 2019 il meridionalismo dogmatico non concedeva uno sfogo seppur provocatorio.
Forse anche per questo non è così interessante ricordare Daverio, la sua figura non è utile per le agiografie del nostro tempo. Ora che le questioni di genere, di etnia e persino climatiche sono diventati prodotti con i quali condire ogni pietanza, persino la cultura, Daverio non è utile.
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