Cultura
3 settembre, 2025"Scrivere non è un atto individuale, ma un gesto condiviso. Un modo per appropriarsi delle parole, quando anche il linguaggio rischia d’essere annientato". L'articolo della scrittrice, pubblicato sull'ultimo numero de L'Espresso
Scrivere, nella sua essenza, è un atto d’amore; me ne sono accorta presto. Anche se non ci si aspetta che tu debba immaginare un personaggio o un evento che potresti incontrare mentre stai scrivendo o leggendo un testo, in realtà stai avanzando verso di loro, allestendo un posto dentro di te in cui accogliere l’altro e l’inimmaginato. La letteratura ci permette di raggiungere quello a cui potremmo non avere accesso nella realtà o affidandoci solo a quello che abbiamo dentro. Alla base di questa esperienza c’è il linguaggio. Oltre a trasportare la letteratura da un luogo all’altro, il linguaggio è l’essere più condiviso e reciproco che esista, qualcosa che è a disposizione e viene creato in comune con gli altri. Parliamo ma non possediamo il linguaggio; non è nostro. Magari ci imbattiamo in una parola capace di creare qualcosa di specifico dentro di noi e per noi, ma questa parola è sempre a disposizione di qualcun altro.
È vero, a volte raccontiamo la scrittura come se fosse un atto decisamente individuale, proprio come facciamo con la lettura, ma in effetti le parole, anche quando ci abbandonano, aleggiano ancora nell’aria, indicando la possibilità di essere condivise. Nel mio caso, scrivere è stato arrivare a queste parole condivise e alle parole che appartengono a tutti noi. Imparando a prendermi cura dell’atto della scrittura per quello che è, ho iniziato a considerarlo un atto di condivisione e di amore.
L’amore, per com’è, fa venire il desiderio di essere presenti nella scrittura. Nel nostro modo di concepire il desiderio, pensiamo che sia sempre implicitamente “per” o “verso” qualcosa. Il desiderio ci porta a provare qualcosa per qualcosa o qualcuno; ci indirizza verso qualcosa o qualcuno. Si tratta di un aspetto molto importante che lo riguarda. Intanto che ci permette di andare verso un altro, di fatto il desiderio nella scrittura è già una forza che sfida i contorni del sé e i suoi limiti, una forza che si oppone a tuo ciò che è noto a una persona soltanto.
È in questo senso che la letteratura crea uno spostamento o una trasformazione possibile del sé. Ci espone a qualcosa che prima ci era ignoto, ma che allo stesso tempo sta già dentro di noi, proprio per via del linguaggio. I modi in cui ci confrontiamo costantemente con i nostri limiti e i nostri confini possono rappresentare una forma di resistenza. Se ci soffermiamo su cosa ci fa desiderare un cambiamento politico, capiamo che questo avviene proprio in relazione agli altri. Qualsiasi gesto di impegno letterario, che sia scrivere o leggere, fa sì che resistiamo allo status quo, alle comfort zone e a tutto ciò che sappiamo già, abbracciando le nostre paure ed esitazioni. Non neghiamo che queste paure ed esitazioni esistano, ma quando ci avviciniamo al linguaggio come desiderio, ecco dove troviamo la letteratura, disposta a guidarci mentre ci inoltriamo tra le nostre paure.
La scrittura è dunque radicata nel desiderio per una certa intimità linguistica a cui non possiamo avere accesso in altri modi, soprattutto nelle nostre interazioni quotidiane. L’intimità che otteniamo dalla letteratura attraverso la scrittura e la lettura a volte può farci sentire esposti, fragili, come quando custodiamo un segreto. I segreti, alla fine, possono essere intesi come forme di comunicazione, mentre il linguaggio annuncia le possibilità di una relazione che va al di là di ciò che è permesso, funzionale e strumentale. Quando custodiamo un segreto, il linguaggio fa finta di esserci e di non esserci allo stesso tempo. Quando sentiamo qualcuno affermare di colpo: “Oh, non posso dirlo”, ci viene prospettata una relazione diversa con il linguaggio e non possiamo fare a meno di pensare: “Cos’è che non puoi dire?”.
La scrittura a volte somiglia a una forma di vicinanza con il linguaggio, ma senza dirlo, proprio come si fa con un segreto. Ragiono su questi temi da tanti anni, e intanto rifletto su che tipo di letteratura può emergere dalla Palestina, invece che sulla Palestina. “Sulla” significa chiamarsi fuori da una cosa in cui di fatto sei intrappolata. Sottrarsi a questo essere dentro significa approdare a una posizione di disorientamento e alienazione. Anche in tal caso, cosa succede quando sei dentro senza la possibilità di lasciare quella posizione per metterti al di fuori? Fisicamente potresti farlo, ovviamente, ma sei spiritualmente ed eticamente radicata lì, e quel lì è altrettanto radicato dentro di te. Come ci si rapporta alla letteratura in questi casi? Che forme può assumere, soprattutto quando devi confrontarti con il fatto che il linguaggio non è solo uno strumento per esprimersi? O cosa fai quando il linguaggio viene annientato, come da decenni vengono annientate le persone che ti circondano e l’ambiente in cui vivono in Palestina? Proprio come viene annientato il loro passato e il loro futuro, non solo il loro presente; a volte lentamente, a volte a grande velocità. Le persone che non vengono ascoltate, quelle che si sentono smarrite su cosa dire e come dirlo quando la loro lingua viene distrutta, così come viene distrutta la loro vita, quelle che incespicano, potranno mai parlare chiaramente? Per essere in grado di articolare qualcosa, devono imitare o ripetere una lingua che non gli appartiene. Questo significa assumere una posizione o un’esperienza che non è la propria, negando allo stesso tempo quella che lo è.
Se il tuo rapporto con il linguaggio è condizionato dal fatto che è stato cancellato o fatto passare per inutile e ti accorgi che non è alla tua portata dal principio, potresti chiederti se sia mai possibile avere accesso alle parole nel modo in cui ce l’hanno tante altre persone. Se hai una relazione di potere con il linguaggio, invece, significa che sei padrone di quello che dici. Sai quello che stai dicendo e hai un quadro completo della situazione. Ti metti al di sopra del linguaggio, vale a dire oltre quella dimensione di intimità, fragilità e vulnerabilità a cui per esempio è abituato qualcuno che viene dalla Palestina. Per me usare il linguaggio con questo livello di chiarezza è un atto di violenza. È il contrario dell’amore. Amo la lingua e la tratto e mi ci rapporto come se fosse un essere vivente. Quando ami la lingua, puoi davvero permetterti di “usarla”? Immaginate di amare qualcuno e di dichiarare: “Ora ti userò”. Con questo atteggiamento, usando e abusando del linguaggio, in realtà stiamo usando l’amore e ne stiamo abusando, ed è proprio in quel momento che denunciamo la sua assenza.
E quindi come si fa a raccontare una storia considerando le cancellazioni, i silenzi e l’incapacità di trovare subito le parole per creare una narrazione razionale e coerente? Come se il linguaggio all’improvviso non fosse lì, si stesse sfilando via da te o tu da esso. Che tipo di scrittura letteraria emerge da una narrazione così perforata, fatta di assenze e inciampi? Credo che sia stato questo aspetto ad avermi tormentata per tanto tempo, prima di capire che mi avrebbe portata a scrivere e a praticare l’amore nella mia frequentazione della scrittura.
È così che la letteratura ci può condurre in luoghi che non sono limitati alla nostra esperienza, ma forse ne sono un’eco. Decidere di non scrivere di sé e delle proprie esperienze non diventa un aspetto esteriore della scrittura, non va a coprire il sé che scrive e il sé che legge. Come si fa ad avere cura del circostante quando ci si confronta con la noncuranza? Le strutture di potere attorno a te, soprattutto le strutture del potere coloniale attive in Palestina, così come altrove in passato, ti dicono che sei irrilevante. Il potere coloniale si rapporta sempre ai colonizzati come se fossero irrilevanti, tacciando di insignificanza il loro linguaggio o le loro storie, inclusa la loro letteratura. Ma allora puoi trovare un rapporto diverso col linguaggio, dove nessuno può costringerti a scrivere come vuole, e non devi aspettarti di contribuire al linguaggio dei potenti. Sei costretto a confrontarti con la consapevolezza che non è come non dici le cose, ma come arrivi alle cose nella scrittura che fa la differenza. Arrivi al linguaggio e affinché questo sia possibile ti serve amore, devi servirti sempre del tuo senso dell’amore e del desiderio verso un linguaggio che non sia consegnato all’oppressione della realtà. Alla fine è così che arrivi alla letteratura.
Traduzione di Claudia Durastanti
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